Punibilità degli enti: aspetti generali (D.Lgs. 231/2001).

Dal “societas delinquere et puniri non potest” alle nuove esigenze di punibilità degli enti.

di Clelia Passerini

Introduzione

L’entrata in vigore del D.Lgs. 8 giugno 2001, n.231 costituisce, nel panorama normativo italiano, uno degli eventi più rilevanti e più significativi degli ultimi decenni.

Grazie ad esso, infatti, è stata introdotta una responsabilità (solo formalmente amministrativa) autonoma dell’ente.

Occorre far presente che numerosi ostacoli hanno reso notevolmente difficile l’introduzione di una responsabilità sanzionatoria diretta dell’ente.

Si pensi, as esempio, allo sbarramento posto dall’art. 27 della Costituzione.

Tale introduzione rappresenta, pertanto, una vera e propria rivoluzione.


Origine del corporate crime (colpevolezza d’impresa)


punibilità degli enti

L’esigenza di individuare una “colpevolezza d’impresa”, differente da quella della persona fisica che ha commesso il fatto, discende da più fattori:

In primo luogo dalla presa d’atto che la criminosità non qualifica il soggetto che materialmente ha realizzato il reato, bensì la società che non ha attuato le scelte di gestione idonee a scongiurare il rischio.

In secondo luogo, nasce dalla necessità di prevenire piuttosto che reprimere determinate forme di aggressione.

Certamente, la diffusione da beni giuridici tradizionali a beni giuridici sovraindividuali da una parte e la presenza nello scenario economico di gruppi d’imprese dall’altra, richiedono una diversa risposta punitiva a 360 gradi.

Si pensi, d’altra parte, alle responsabilità nei temi di ambiente, sicurezza sul lavoro, salute collettiva, tutela dei consumatori, ad esempio.


La divisione dei ruoli societari in tema di punibilità degli enti


La dottrina che ha investigato la criminalità d’impresa (corporate crime), ha individuato nella struttura della stessa persona giuridica fattori che sono al tempo stesso fisiologici e criminogeni.

L’industrializzazione crea un “ambiente” che aiuta e invoglia gli autori materiali a commettere reati a vantaggio della società.

Essi, infatti, fanno parte del comparto societario in un dato periodo storico ma sono soggetti a mutazione e sostituzione.

La divisione dei ruoli sfuma i contorni della responsabilità dei singoli autori materiali, laddove il processo decisionale è frutto della concorrenza di una pluralità di soggetti, e pregiudica la percezione unitaria del disvalore d’evento.

Con riferimento all’organizzazione interna, una struttura organizzata verticalmente e specializzata orizzontalmente rischia di configurare vere e proprie “responsabilità da posizione”.

In altri termini, le dinamiche proprie del fenomeno associativo spesso portano a disgregare la responsabilità dei singoli.

Essi, conseguentemente, finirebbero per divenire meri capri espiatori (“teste di paglia”) per scelte che sono di “politica d’impresa” o di cattiva organizzazione.

In aggiunta, concepire l’impresa quale “macroantropo”, autore unico di una serie di illeciti non vale, tuttavia a deresponsabilizzare i singoli.

Essi, infatti, continuerebbero ad essere puniti sulla scorta del rapporto di “immedesimazione organica”.

L’imputazione organicistica, come evidenziato nella relazione ministeriale al «decreto 231» è chiave di lettura ex art. 5 della locuzione “nell’interesse o a vantaggio dell’ente”.


La direttiva europea sulla punibilità degli enti


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Il Consiglio D’Europa ha preso esplicitamente posizione sul tema della responsabilità degli enti attraverso la Raccomandazione (88) – 18, 20 ottobre 1988.

Quest’ultima richiama gli Stati sull’utilità della responsabilizzazione diretta della persona giuridica per gli illeciti commessi nell’esercizio della sua attività senza prendere posizione sulla natura che debba assumere.

Lascia agli Stati la più ampia facoltà di scelta del tipo di responsabilità che meglio si adatti al proprio sistema giuridico.

Nel 1978 con la Raccomandazione (77) 28, relativa alla protezione penale dell’ambiente, il Consiglio aveva raccomandato agli Stati di rimeditare sui principi tradizionali dell’imputazione penale con particolare riguardo al possibile coinvolgimento delle persone giuridiche.

Successivamente, la Raccomandazione (81) 12, del 25 giugno 1981, sulla “criminalità economica” aveva chiesto agli Stati di intraprendere gli sforzi necessari al fine di garantire una risposta pronta ed efficace alla criminalità economica.

Soprattutto, ricordiamo la Raccomandazione (82) 15, del 24 settembre 1982, sul “ruolo del diritto penale nella tutela del consumatore”.

La l. 29 settembre 2000 n. 300, ha recepito sul piano interno una serie di atti internazionali elaborati in base all’articolo K.3 del Trattato sull’Unione Europea.

Fra esse, pertanto, solo la Convenzione OSCE del 1997, prevede espressamente l’introduzione di una responsabilizzazione diretta delle persone giuridiche, senza vincolare le parti in ordine alla reale natura e alle misure da adottare.

In conclusione, sebbene non si possa rivenire uno specifico obbligo di optare per la responsabilità penale dell’ente, la legge delega n. 300 del 2000 ed il conseguente d.lgs. 231/2001 sembrano rispettare il contenuto dei vincoli internazionali.


Per concludere, se hai letto con piacere quest’analisi relativa alla punibilità degli enti, sicuramente potresti essere interessato al nostro articolo “Reato 231: ascrizione all’ente sul piano soggettivo. La colpa di organizzazione”. (Clicca qui) .


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