Ciò che si rimprovera all’ente per quanto riguarda il reato 231, è la mancata o inadeguata adozione di modelli comportamentali di prevenzione. Ciò è visto come sintomo di una disorganizzata gestione aziendale.
di Clelia Passerini
Indice
Introduzione
E’ ormai noto come il diritto penale classico esprima un modello normativo rigorosamente antropocentrico.
In esso, la punibilità della persona giuridica è ostacolata da una incapacità di colpevolezza dal duplice contenuto:
da un lato, dalla mancanza di una volontà intesa in senso psicologico, la quale, tuttavia, non esclude che si possa pervenire ad una “personalizzazione” del giudizio di colpevolezza;
dall’altro, dal carattere strettamente personale del rimprovero.
E’ evidente, tuttavia, anche come la questione ha conosciuto la fine nel nostro ordinamento a seguito, in particolar modo, del Decreto Legislativo 231/2001.
La stessa relazione ministeriale al decreto assume esplicita posizione nel ritenere “superata l’antica obiezione legata al presunto sbarramento dell’art. 27 Cost. e cioè all’impossibilità di adattare il principio di colpevolezza alla responsabilità degli enti”.
D’altra parte, ai fini di quest’ultima è necessario:
“non soltanto che il reato sia ad esso ricollegabile sul piano oggettivo (le condizioni alle quali ciò si verifica, come si è visto, sono disciplinate dall’art. 5); di più, il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto meno derivare da una colpa di organizzazione”.
Se premessa necessaria è che anche l’impresa, al pari dell’uomo, possa commettere un illecito (cosiddetto reato 231) e per esso venire sanzionata, la difficoltà sta nel delineare i tratti che tale colpevolezza debba assumere.
Soprattutto perché il decreto oltre a qualificare la responsabilità come amministrativa non prende posizione in punto di volontà colpevole dell’ente.
Teoria quadripartita del reato 231
Tra le varie formulazioni elaborate dalla “teoria quadripartita” quali espressioni della colpevolezza d’impresa, la colpa di organizzazione sembra il parametro più adatto ai fini dell’attribuzione del reato 231 all’ente.
Trattasi di un concetto “ipernormativo” e “oggettivato” di colpevolezza.
Questo criterio vuole evidenziare la capacità della struttura societaria di attuare assetti organizzativi, procedimenti e misure atti ad evitare la commissione di reati nel suo interesse o a suo vantaggio.
Ciò viene rimproverato all’ente è la mancata o inadeguata adozione di modelli comportamentali di prevenzione.
Tale mancanza è vista indubbiamente come sintomo di una disorganizzata gestione aziendale.
Il concetto di deficit appare maggiormente idoneo ad evocare il concetto di colpa, con ricadute positive sulle possibilità di accertamento del collegamento soggettivo.
Il sistema organizzativo di una impresa dotata di una rilevante complessità interna si traduce in una capacità di auto-organizzazione, autodeterminazione ed autogestione.
L’organizzazione è vista come un “insieme ordinato e collegato di parti di un tutto”, composto da una pluralità di soggetti, dotato di competenze e di vie di comunicazione orientate all’assunzione di decisioni.
Per esprimere decisioni, l’organizzazione deve a sua volta organizzarsi.
Il principale vantaggio è la creazione di una competenza superiore alla somma delle competenze degli individui che la compongono: il gruppo, infatti, rispetto ai singoli possiede maggiori informazioni e maggiori conoscenze, la capacità di proporre soluzioni alternative.
Per contro un organismo “disorganizzato” resta in balia dei rischi.
La prevenzione del rischio-reato, nel sistema di gestione complessiva dei rischi aziendali, rappresenta un momento irrinunciabile: deve essere lo stesso ente a creare le condizioni affinché venga garantita l’osservanza dei canoni di diligenza da parte delle persone fisiche che al suo interno operano.
Ma quali sono i contenuti del dovere di auto-organizzazione ex dlgs 231/01?
Il primo consiste nella predisposizione di una griglia capillare di garanti.
L’oggetto della garanzia dipenderà dalla tipologia di funzione svolta: così, chi è collocato in funzione apicale assicurerà l’adozione di un modello organizzativo, scendendo “ai piani inferiori” la garanzia si concretizzerà in relazione al tipo di funzione esercitata (di direzione, di controllo, di consulenza, ecc.).
Il secondo contenuto consiste nella predisposizione di modelli di prevenzione del rischio-reato idonei ed efficaci.
L’osservanza del generale dovere di organizzazione – che si estrinseca, come detto, in una pluralità di adempimenti tra cui l’adozione dei modelli comportamentali – non è funzionale alla prevenzione di un determinato tipo di evento.
Ha natura meramente progettuale, perciò devia dalle caratteristiche generali delle regole cautelari costruite sull’individuo.
L’ente è chiamato a rispondere per la violazione di una regola organizzativa generale, di natura progettuale e cautelativa, pur in assenza di una specifica correlazione tra regola trasgredita e il tipo di evento occorso.
La colpa di organizzazione, pertanto, sembra integrare una forma di colpevolezza non riconducibile né al dolo, né alla colpa.
Circa il dolo, sicuramente bisogna evidenziare l’assenza della rappresentazione e accettazione di un evento specifico.
Circa la colpa, invece, l’assenza della violazione di una specifica regola cautelare.
L’ente risponde del reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio per una colpevolezza di organizzazione, proprio perché la scelta per la disorganizzazione ha aumentato il rischio-reato, disvelando la decisione stessa di rischiare.
Obbligo di adottare un modello di organizzazione 231
In sintesi, il legislatore non ha costruito a carico dell’ente una forma di responsabilità oggettiva, bensì ha voluto ancorare il rimprovero ad un deficit dell’organizzazione o dell’attività rispetto ad un modello esigibile dalla persona giuridica nel suo insieme.
Ad essa viene richiesto di avvalersi, nello svolgimento della sua attività, di modelli di organizzazione e gestione calibrati sul rischio-reato.
L’adozione di un “compliance program”, non opera solo quale causa di non applicabilità della sanzione (in un’ottica meramente premiale) o quale criterio di commisurazione del grado di diligenza posta in essere dall’ente.
Esso opera, in concreto, come vera e propria causa di esclusione della responsabilità dell’ente collettivo, collocando il sistema 231 tra i sistemi più innovativi ed evoluti.
Ciò che si vuole realizzare è che il rispetto delle norme penetri nella progettazione della strategia d’impresa.
Pertanto, bisogna incentivare una sorta di “moralizzazione spontanea”, nell’ambito di una rinnovata concezione del sistema sanzionatorio che da preventivo-afflittivo arrivi a plasmare la stessa struttura interna della società.
NB: Tale modello di colpa “puro” della persona giuridica è autonomo e diverso dalle due forme di responsabilità individuate dagli artt. 6 e 7 del medesimo decreto per i reati commessi, rispettivamente, dai soggetti “apicali” e dai subordinati.
Se ti è piaciuta quest’analisi sulla natura del reato 231, ti consiglio di leggere il nostro articolo intitolato
“Responsabilità penale degli enti ex D.Lgs 231/2001 – (Cass. Penale n.11518 – 15 marzo 2019) (Clicca qui) in cui la Cassazione ci da ulteriori ed importanti spunti di riflessione.
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