Non sei soddisfatto dell’orario di lavoro? Credi di lavorare più ore del dovuto? Il D.Lgs. 66/2003 racchiude la normativa che ti interessa. Analizziamolo insieme qui di seguito.
di Avv. Manuel Costa
I ritmi lavorativi dei nostri tempi sono sempre più serrati ed al limite della legittimità.
Le imprese, pur di aumentare il profitto e rimanere competitive in un mercato sempre più saturo e sull’orlo del default, costringono i lavoratori ad effettuare turni di lavoro estenuanti e decisamente lunghi (molte volte più del dovuto).
L’orario di lavoro rappresenta l’elemento cardine del contratto di lavoro in quanto consente di stabilire da un lato, la durata della prestazione lavorativa e, dall’altro lato, la retribuzione dovuta.
L’articolo 2107 del codice civile, per la determinazione dell’orario di lavoro, rinvia direttamente alle leggi speciali ed alle norme relative alla contrattazione collettiva.
L’articolo 36 della Costituzione, invece, stabilisce una riserva di legge per la durata massima della giornata lavorativa.
La disciplina dell’orario di lavoro.
La disciplina dell’orario di lavoro è stata completamente ridisegnata dal D.Lgs. 66/2003 il quale, in un’ottica di semplificazione e razionalizzazione, coordina in un unico testo normativo le previgenti disposizioni in materia di ferie, festività, pause, orario di lavoro diurno e notturno, lavoro straordinario e supplementare.
L’art.1 del suddetto Decreto Legislativo definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Esso deve essere stabilito dal datore di lavoro all’interno del regolamento d’azienda, in osservanza di quanto stabilito dai contratti collettivi e nei limiti prescritti dalla legge.
Secondo quanto stabilito dall’art. 3 del D.Lgs. 66/2003 (qui il testo integrale in gazzetta), il limite settimanale di ore lavorative è stabilito nella misura di 40 (cd. orario normale)
Tuttavia, la contrattazione collettiva, può stabilire una durata minore (o maggiore) e riferire l’orario normale (40 ore settimanali) alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo comunque non superiore ad un anno (orario multiperiodale o articolato).
In sostanza, l’orario normale è un orario rigido che deve essere osservato in ciascuna settimana.
L’orario multiperiodale è un orario flessibile in quanto consta nel rispetto dell’orario normale (40 ore settimanale) come risultato di una media ottenuta sull’applicazione di esso in un lungo periodo.
Pertanto, possono esservi settimane con un orario più lungo delle 40 ore imposte per legge e, viceversa, settimane con un orario più corto, purché vi sia una compensazione fra di esse.
Grazie a questo regime, infatti, il datore di lavoro può organizzare il lavoro dei dipendenti in base al ciclo di mercato, alternando periodi di produttivià più intensa a periodi più blandi.
Si noti bene che, lo stesso D.Lgs. 66/2003, stabilisce il limite di durata massima settimanale dell’orario di lavoro in 48 ore comprensive del lavoro straordinario.
Pause, riposo e ferie annuali.
Non è prevista una durata massima dell’orario di lavoro giornaliero.
Il D.Lgs. 66/2003 si limita a stabilire quanto segue:
1 – il lavoratore ha diritto ad 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore (riposo giornaliero). Pertanto il limite massimo della giornata lavorativa è stabilito in 13 ore (fermi restando i limiti di durata settimanale);
2 – qualora l’orario di lavoro giornaliero dovesse superare le 6 ore, il lavoratore ha diritto a delle pause di almeno 10 minuti al fine di recuperare le energie psico-fisiche nonché ai fini della consumazione del pasto;
3 – il lavoratore ha diritto ogni 7 giorni ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive (riposo settimanale) solitamente in coincidenza con la domenica, tuttavia può essere fissato anche in un giorno diverso;
4 – la pausa settimanale può essere calcolata anche come media in un periodo non superiore ai 14 giorni. Esso è tassativamente irrinunciabile (come stabilito dall’art. 36 della Costituzione) e, pertanto, ogni pattuizione contraria, necessita di essere considerata categoricamente nulla;
5 – oltre al riposo settimanale, al lavoratore spetta la sospensione dal lavoro (assenza giustificata e retribuita) in occasione delle festività nazionali civili e religiose (quali: il primo giorno dell’anno; il giorno dell’Epifania; il 25 aprile in occasione della ricorrenza della liberazione); la festa nazionale della Repubblica del 2 giugno; il 15 agosto; il 1° novembre per la celebrazione della ricorrenza di Ognissanti; l’8 dicembre per la celebrazione dell’Immacolata Concezione; il 25 dicembre per la celebrazione del Natale; il 26 dicembre; il giorno di celebrazione del Santo Patrono del Comune in cui il lavoratore svolge la propria attività).
Ferie annuali
Le ferie (riposo annuale) sono previste dal precedentemente citato art. 36 della Costituzione che legittima il lavoratore a fruire di un congruo periodo di riposo, al fine di partecipare alla vita familiare e sociale e ritemprare le proprie energie psicofisiche.
Inoltre, ai sensi dell’art. 2.109 c.c. “il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite, possibilmente continuativo”.
Tale diritto sussiste a prescindere dall’anzianità di servizio.
Tuttavia, le ferie si maturano nel corso dell’anno solare in funzione dei giorni lavorativi.
L’art. 10 del D.Lgs. 66/2003 stabilisce che “il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo di ferie retribuite annuale non inferiore a 4 settimane” (la contrattazione collettiva può sempre derogare in senso più favorevole al lavoratore).
In particolare, due settimane del periodo complessivo di ferie devono essere obbligatoriamente fruite dal lavoratore nel corso dell’anno di maturazione ed in modo consecutivo; le restanti due settimane possono essere godute dal lavoratore nei 18 mesi successivi all’anno di maturazione.
Le ferie annuali rappresentano un diritto costituzionalmente garantito al lavoratore e, pertanto, non possono essere monetizzate o rinunziate.
Tuttavia è possibile cedere o monetizzare i giorni di ferie eccedenti il minimo stabilito per legge (4 settimane), ove non fruiti nei termini temporali stabiliti dal contratto collettivo o dal contratto individuale.
Il momento di godimento delle ferie è stabilito, per ciascun lavoratore, dal datore di lavoro che deve contemperare le esigenze d’impresa con quelle del lavoratore, salvaguardando il principio della continuità del periodo feriale.
In seguito al Jobs Act (D.Lgs 151/2015), è stata introdotta la possibilità di cedere gratuitamente i riposi e le ferie non maturate ai lavoratori della stessa impresa / stesso datore di lavoro, al fine di agevolare il collega che necessita di tempo libero al fine di assistere il figlio minore che si trovi in difficoltà di salute e che, pertanto, necessita di cure particolari.
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