L’influencer marketing costituisce una modalità propagatasi negli ultimi anni, ma già significativamente consolidata, di comunicazione consistente nella diffusione su blog, vlog e social network (come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, Myspace) di foto, video e commenti da parte di blogger e influencer che mostrano sostegno o approvazione (endorsement) per determinati brand, generando un effetto pubblicitario.
Di Redazione Compliance Legale
Indice
La pubblicità commerciale
Con il termine pubblicità si intende la divulgazione e/o diffusione tra il pubblico di messaggi, variamente veicolati (TV, stampa, cartellonistica, social media ecc.), aventi lo scopo di segnalare l’esistenza e far conoscere le caratteristiche di prodotti, servizi, prestazioni di vario genere.
La criticità della pubblicità non trasparente, sia essa pubblicità redazionale, product placement o influencer marketing, attiene a profili di natura costituzionale circa i rapporti intercorrenti tra libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di espressione artistica e la libertà di iniziativa economica (cui è ascrivibile la pubblicità commerciale), nonché alla tutela del consumatore e alla concorrenza sleale.
Tra i vari effetti che la pubblicità non trasparente è in grado di produrre, peraltro, vi è anche quello della alterazione della ideale situazione di parità delle imprese nel confronto concorrenziale, generando una situazione di indebito vantaggio per coloro che se ne avvalgono.
Il principio della trasparenza
Il pregiudizio arrecato al consumatore dalle pubblicità occulte risiede nell’aggiramento delle normali difese che il destinatario attiva nei confronti delle comunicazioni di impresa riconoscibili in quanto tali, sorprendendone la buona fede.
Il principio di trasparenza è quindi, in primo luogo, una garanzia per i consumatori, che devono essere messi in condizione di utilizzare quel “senso critico” che naturalmente accompagna la ricezione di comunicazioni pubblicitarie. D’altronde, tale principio tutela anche la correttezza dei rapporti concorrenziali, dal momento che il ricorso a forme di pubblicità occulta potrebbe generare impropri vantaggi competitivi. La differenza tra scopo della comunicazione ed effetto della stessa, risulta, quindi, l’elemento determinante in termini di corretta qualificazione del messaggio.
La potenziale capacità di penetrazione dei messaggi occulti determina, dunque, la necessità di prevenire e controllare uno strumento che, se snaturato nel suo carattere asseritamente informativo ed asservito a scopi promozionali, è capace di generare effetti confusori sui destinatari ed alterare la competizione leale che è alla base di un mercato trasparente e virtuoso.
A tale fine, soccorrono le disposizioni di cui agli articoli dal 20 al 23 del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, con l’attribuzione dei relativi poteri con controllo e monitoraggio, finanche repressivi e/o sanzionatori in capo alla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”).
A tal proposito, si segnalano alcuni provvedimenti sul punto da parte dell’AGCM:
- PS11435 – INSANITY PAGE-PUBBLICITÀ OCCULTA BARILLA (in tema di influencer marketing);
- PS11270 – AEFFE-ALITALIA (in tema di influencer marketing);
- PS11131 – RIVISTA AUTO-PUBBLICITÀ OCCULTA IQOS (in materia di pubblicità redazionale).
Il cosiddetto influencer marketing
Come anticipato in premessa, l’influencer marketing costituisce una forma di pubblicità recentemente propagatasi con l’incessante sviluppo di blog, vlog e social network, nell’ambito dei quali i blogger e gli influencer sono soliti pubblicare foto, video e commenti che mostrano sostegno o approvazione per determinati marchi, il cui effetto nei confronti dell’utente finale è quello tipico pubblicitario.
Tale forma di comunicazione, inizialmente utilizzata da personaggi di una certa notorietà, si sta diffondendo presso un numero considerevole di utenti dei social network anche con un numero di follower non particolarmente elevato.
Va osservato, infatti, che nel “mondo digitale” – sempre più in espansione – post, tweet, foto e video pubblicati sui social media costituiscono gli strumenti abituali per comunicare il proprio mondo, coinvolgendo emotivamente i destinatari nel proprio racconto. Ecco dunque che nel caso in cui sussista un rapporto di committenza tra il personaggio noto e il marchio evidenziato, subentra la necessità di rendere i consumatori consapevoli del fatto che si trovano di fronte ad un vero e proprio messaggio pubblicitario, e non di fronte ad un racconto spontaneo e disinteressato del vissuto quotidiano del personaggio famoso.
In questo settore, dunque, è di fondamentale importanza garantire ai consumatori la massima trasparenza e chiarezza sull’eventuale contenuto pubblicitario delle comunicazioni diffuse sui social, considerato che il marketing occulto è particolarmente insidioso poiché idoneo a privare i destinatari delle naturali difese attivate in presenza di un dichiarato intento pubblicitario.
Del resto, l’esaltazione diretta e indiretta dei brand, in assenza di apposite avvertenze, è astrattamente in grado di integrare gli elementi di una promozione pubblicitaria che si avvale della “struttura narrativo-espressiva” della vita quotidiana del personaggio famoso, raccontata ai fan/follower attraverso i profili social dell’influencer.
La pubblicità redazionale
Per pubblicità c.d. redazionale, invece, si intende un messaggio con finalità promozionali che, seppur apparentemente obiettivo nella forma e nella veste grafica (tipicamente un giornale o una rivista), esprime in realtà una valenza pubblicitaria facendo leva sulla tradizionale imparzialità dell’informazione giornalistica, alla quale è riconosciuta di per sé una significativa capacità di persuasione del consumatore.
L’individuazione della natura pubblicitaria della comunicazione riposa non tanto sulla mera idoneità di un messaggio a generare un oggettivo effetto promozionale, quanto piuttosto sulla sussistenza di uno scopo promozionale di per sé incompatibile con finalità informative o di intrattenimento.
Per tali ragioni una siffatta tecnica comunicazionale, in violazione del generale principio di trasparenza del messaggio pubblicitario, è in grado di indurre in errore i consumatori modificandone le scelte di acquisto. Questi ultimi, infatti, potrebbero essere indotti a ritenere che le citazioni di un prodotto o l’esaltazione dei suoi pregi siano frutto della libera scelta di un soggetto terzo rispetto all’impresa produttrice, attribuendo alle stesse una maggior attendibilità e autorevolezza.
Il product placement
Il product placement consiste nell’esibizione o nella citazione della denominazione, del marchio o dei prodotti di un’impresa in un contesto narrativo o di intrattenimento, a fini promozionali.
Rileva, a tal fine, la disciplina di cui al Decreto Ministeriale del 30 luglio 2004 n. 235, (c.d. Decreto Urbani), in forza del quale la presenza di marchi e prodotti deve essere palese, veritiera e corretta e si deve integrare nello sviluppo dell’azione, senza costituire interruzioni, e, comunque, deve essere coerente con il contesto narrativo. Il decreto inoltre stabilisce l’obbligo di inserire un avviso nei titoli di coda che informi il pubblico della presenza di marchi e prodotti all’interno del film, con la specifica indicazione delle ditte inserzioniste.
Rapporto tra pubblicità e manifestazione del pensiero
Tra i problemi maggiormente dibattuti in materia vi è certamente quello che attiene al rapporto esistente tra la pubblicità c.d. redazionale e il diritto di manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelato.
Se da un lato, infatti, è pacificamente ammesso che la pubblicità commerciale rientri tra quelle tutele e limitazioni previste in tema di libertà di iniziativa economica privata ai sensi art. 41 Cost., dall’altro, non appare semplice tracciare una linea di demarcazione netta tra quest’ultima e il diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero. L’interferenza esistente tra i contrapposti concetti non consente, infatti, una soluzione pacifica della questione, generando notevoli problemi anche da un punto di vista pratico.
Il principio della trasparenza, imponendo la riconoscibilità del messaggio, non fornisce, tuttavia, una risposta chiara all’interrogativo circa l’individuazione del confine tra pubblicità e manifestazione del pensiero, rimandando all’interprete l’individuazione di tale demarcazione di confine.
Ecco, dunque, che in applicazione dei suddetti principi viene ad esempio considerato lecito il cosiddetto “giornalismo di servizio”, ovverossia la segnalazione e descrizione anche particolareggiata di beni, che risponda ad autonome scelte redazionali della testata giornalistica e ad un interesse del consumatore all’informazione su dati e fatti anche commerciali, senza che tuttavia siffatte informazioni possano mai trasmodare in una eccessiva accentuazione di concetti aventi quale unico scopo la promozione di un prodotto o servizio.
Le stesse regole valgono, vieppiù, relativamente alla nuova frontiera dell’influencer marketing e che rappresenta il nuovo e privilegiato canale pubblicitario esulante dai classici temi commerciali tradizionali.
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