La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, con la sentenza 10 novembre 2020 resa nella causa C-644/18, ha accertato che la Repubblica italiana ha superato, in maniera sistematica e continuata da diversi anni (continuando a tutt’oggi in tale solco “negativo”), i valori limite applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 nell’aria in determinate zone e agglomerati italiani.
Di Redazione Compliance Legale
Indice
La decisione della Corte in “pillole”
Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, nell’ambito del ricorso per inadempimento del 13 ottobre 2018, promosso dalla Commissione Europea nei confronti della Repubblica Italiana ai sensi dell’articolo 258 TFUE, ha accertato che quest’ultima è venuta meno all’obbligo sancito dal combinato disposto dell’articolo 13 e dell’allegato XI della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria e per un’aria più pulita in Europa.
Inoltre, l’Italia, non avendo adottato, a partire dall’11 giugno 2010, misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le concentrazioni di particelle PM10 in determinate zone, è venuta altresì meno agli obblighi imposti dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, letto unitariamente ed in combinato disposto con l’allegato XV, parte A, di tale direttiva, e, in particolare, all’obbligo previsto all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, di detta direttiva, di far sì che i piani per la qualità dell’aria prevedano misure appropriate affinché il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve possibile.
In sostanza, la Corte ha accertato un significativo e continuo superamento da parte dell’Italia delle misure prescritte dalle normative europee in ordine alla tematica di inquinamento atmosferico, sottolineando come tali eccessi siano a tutt’oggi riscontrabili.
Il superamento del valore limite giornaliero
Il superamento dei “valori limiti giornalieri”, come assunto, dapprima, dalla Commissione Europea e, poi, confermato dalla Corte di Giustizia, si è caratterizzato nei seguenti periodi intertemporali e nelle zone di seguito indicate:
– a partire dal 2008 e fino all’anno 2017 incluso, nelle seguenti zone: IT1212 (valle del Sacco); IT1507 (ex zona IT1501, zona di risanamento – Napoli e Caserta); IT0892 (Emilia Romagna, Pianura ovest); IT0893 (Emilia Romagna, Pianura Est); IT0306 (agglomerato di Milano); IT0307 (agglomerato di Bergamo); IT0308 (agglomerato di Brescia); IT0309 (Lombardia, pianura ad elevata urbanizzazione A); IT0310 (Lombardia, pianura ad elevata urbanizzazione B); IT0312 (Lombardia, fondovalle D); IT0119 (Piemonte, pianura); IT0120 (Piemonte, collina);
– a partire dal 2008 e fino al 2016 incluso, nella zona IT1215 (agglomerato di Roma);
– a partire dal 2009 e fino al 2017 incluso, nelle seguenti zone: IT0508 e IT0509 (ex zona IT0501, agglomerato di Venezia-Treviso); IT0510 (ex zona IT0502, agglomerato di Padova); IT0511 (ex zona IT0503, agglomerato di Vicenza), IT0512 (ex zona IT0504, agglomerato di Verona); IT0513 e IT0514 (ex zona IT0505; zona A1 – provincia del Veneto);
– dal 2008 al 2013, e poi nuovamente dal 2015 al 2017, nella zona IT0907 (zona di Prato-Pistoia);
– dal 2008 al 2012, e poi nuovamente dal 2014 al 2017, nelle zone IT0909 (zona Valdarno Pisano e Piana Lucchese) e IT0118 (agglomerato di Torino);
– dal 2008 al 2009, e dal 2011 al 2017, nelle zone IT1008 (zona della Conca Ternana) e IT1508 (ex zona IT1504, zona costiera collinare di Benevento);
– nel 2008, e dal 2011 al 2017, nella zona IT1613 (Puglia – area industriale), nonché dal 2008 al 2012 e negli anni 2014 e 2016 nella zona IT1911 (agglomerato di Palermo).
Il superamento del valore limite annuale
Quanto, invece, al “valore limite annuale”, la Corte ha accertato l’intervenuto superamento nelle seguenti zone/periodi:
– IT1212 (valle del Sacco) dal 2008 fino al 2016 incluso;
– IT0508 e IT0509 (ex zona IT0501, agglomerato di Venezia-Treviso) negli anni 2009 e 2011, e nel 2015;
– IT0511 (ex zona IT0503, agglomerato di Vicenza), negli anni 2011 e 2012, e nel 2015;
– IT0306 (agglomerato di Milano), dal 2008 al 2013 e nel corso del 2015, IT0308 (agglomerato di Brescia), IT0309 (Lombardia, pianura ad elevata urbanizzazione A) e IT0310 (Lombardia, pianura ad elevata urbanizzazione B) dal 2008 al 2013, e negli anni 2015 e 2017;
– IT0118 (agglomerato di Torino) dal 2008 fino al 2012, e negli anni 2015 e 2017.
Sintesi del contesto normativo di riferimento
Al fine di fornire un ventaglio ampio e particolareggiato del contesto normativo alla base del quale la Corte ha assunto la pronuncia giurisprudenziale in oggetto, si riepilogano qui di seguito, per bullet, i tre principali testi legislativi europei di riferimento, con le relative norme che rilevano:
1) Direttiva 96/62/CE del Consiglio, del 27 settembre 1996, in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente (GU 1996, L 296, pag. 55; cfr. art. 8, intitolato «Misure applicabili nelle zone in cui i livelli superano il valore limite» e, in particolare, paragrafi 1, 3 e 4);
2) Direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo (GU 1999, L 163, pag. 41; cfr. art. 5, intitolato «Particelle» e, in particolare, paragrafo 1, nonché l’allegato III);
3) Direttiva 2008/50, entrata in vigore l’11 giugno 2008, che ha sostituito cinque atti legislativi preesistenti relativi alla valutazione e alla gestione della qualità dell’aria ambiente, segnatamente le direttive 96/62 e 1999/30, le quali sono state abrogate a decorrere dall’11 giugno 2010 (cfr. considerando 17 e 18; articolo 1, punti da 1 a 3; articolo 2, punti 5, da 7 a 9 e da 16 a 18; articolo 13, intitolato «Valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana» e, in particolare, il paragrafo 1; articolo 20, paragrafi 1 e 2; articolo 21, paragrafi da 1 a 4; articolo 22, paragrafo 3 e articolo 23, paragrafo 1; articolo 23, paragrafo 1; articolo 27, articolo 28 paragrafi 1 e 2; allegato XI).
Premesso quanto sopra, deve rilevarsi che l’articolo 1, punto 1, della direttiva 2008/50, istituisce misure volte a definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso.
In tale contesto, l’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva dispone che gli Stati membri provvedono affinché i livelli, segnatamente, di PM10 presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI della medesima direttiva.
La violazione da parte dell’Italia
In primo luogo, si ritiene utile precisare che secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, la censura relativa alla violazione dell’obbligo di cui all’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2008/50 si basa sull’accertamento oggettivo dell’inosservanza, da parte di uno Stato membro, degli obblighi impostigli dal TFUE o da un atto di diritto derivato [sentenze del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria, C 488/15, EU:C:2017:267, punto 68, e del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei valori limite per le PM10), C 638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 67 e giurisprudenza ivi citata].
In particolare, la Corte ha in più occasioni ribadito che il superamento dei valori limite fissati per il PM10 nell’aria ambiente è di per sé sufficiente per poter accertare l’inadempimento del combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 e dell’allegato XI di quest’ultima.
Nel caso dell’Italia, ancora una volta, la Corte di Giustizia è tornata a pronunciarsi in materia.
Nella vicenda in esame, nello specifico, la Corte ha evidenziato come i dati risultanti dalle relazioni annuali riguardanti la qualità dell’aria presentati dalla Repubblica hanno dimostrato che dal 2008 al 2017 incluso, i valori limite giornalieri e annuali fissati per il PM10 sono stati regolarmente e significativamente superati.
In particolare, relativamente al numero di superamenti del valore limite giornaliero fissato per il PM10 è emerso che, nella quasi totalità delle 27 zone e agglomerati oggetto di indagine, qualora il rispetto del numero massimo di 35 superamenti di detto valore sia stato eventualmente raggiunto in un anno determinato, tale anno è stato sistematicamente preceduto e seguito da uno o più anni in cui si sono verificati superamenti eccessivi di detto valore.
Del pari, in alcune zone, dopo un anno nel corso del quale il valore limite giornaliero fissato per il PM10 non è stato superato più di 35 volte, il numero di superamenti è arrivato fino al doppio del numero di superamenti constatati nel corso dell’ultimo anno in cui si sono verificati superamenti eccessivi.
Pertanto, dai dati sulla qualità dell’aria nelle zone analizzate dalla Corte per il 2017, è risultato che, ad eccezione di due zone sul numero di 27 zone e agglomerati in questione, il valore limite giornaliero fissato per il PM10 è stato nuovamente o sempre superato più di 35 volte nel corso di tale anno e, per quanto riguarda quattro zone su nove interessate dal ricorso di cui trattasi, il valore limite annuale fissato per il PM10 è stato nuovamente superato nel corso di tale medesimo anno.
Di talché, la Corte ha concluso affermando che i superamenti accertati, posti in essere dall’Italia sul punto, devono essere considerati continuativi e sistematici.
Ha aggiunto, inoltre, la Corte, che una volta accertata e riscontrata la contestazione in parola, in mancanza di una prova di segno contrario fornita dallo Stato interessato circa l’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza, è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro. A quest’ultimo, infatti, è addebitabile la sua negligenza anche in ordine ad eventuali difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far fronte.
La Corte ha affermato, altresì, il principio per cui il superamento dei valori limite fissati per il PM10, anche in un’unica area (nel caso di specie, invero, le aree in rilievo erano molteplici), sarebbe di per sé sufficiente a dimostrare una violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, in combinato disposto con l’allegato XI della stessa come peraltro rilevato in molteplici precedenti pronunce sul punto [cfr. sentenza del 30 aprile 2020, Commissione/Romania (Superamento dei valori limite per le PM10), C 638/18, non pubblicata, EU:C:2020:334, punto 72 e giurisprudenza ivi citata].
Infine, quanto alle censure vertenti sulla asserita violazione dell’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, da solo e in combinato disposto con l’allegato XV, parte A, della medesima, la Corte ha statuito che ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/50 risulta che, qualora il superamento dei valori limite per le PM10 abbia luogo dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, lo Stato membro interessato è tenuto a predisporre un piano per la qualità dell’aria che soddisfi taluni requisiti.
Detto piano deve essere comunicato alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento.
Con riferimento al caso di specie, la Corte ha rilevato che l’Italia è sistematicamente venuta meno agli obblighi sulla stessa ricadenti in virtù delle disposizioni normative comunitarie sopra ricordate.
Per l’effetto di tale sentenza, la Repubblica italiana è stata da ultimo condannata anche al pagamento delle relative spese processuali.
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