È prassi ricorrente, nel mercato odierno, imbattersi in una molteplicità di contratti cosiddetti di “hospitality”, (talvolta anche innovativi ed atipici o, meglio, evanescenti) i quali, conseguentemente, costituiscono un mix fra i vari elementi ricompresi nelle varie tipologie contrattuali già esistenti, regolanti i rapporti fra “host” e “guest”.
Di Redazione Compliance Legale
Indice
Uno dei temi di maggior interesse nel mercato immobiliare e/o turistico degli ultimi tempi afferisce alla distinzione tra il contratto di locazione ed il contatto di ospitalità che, seppur apparentemente sovrapponibili per la loro affine applicabilità, sul piano sostanziale del diritto risultano ascrivibili a differenti fattispecie giuridiche e, per l’effetto, a differenti settori di applicazione.
Pertanto, alcune delle domande più frequenti che ci vengono sottoposte risultano essere le seguenti:
– è lecito che il locatario/affittuario/conduttore ospiti qualcuno (anche per periodi medio-lunghi) all’interno dell’appartamento in cui abita?
– può, quindi, il locatario/affittuario/conduttore ospitare liberamente qualsiasi individuo nella casa ad egli locata oppure tale possibilità è negata dal sistema normativo italiano?
Si chiarisce sin da subito che la legge, al riguardo, non esprime alcuna previsione in un senso piuttosto che nell’altro non esistendo, invero, norme in proposito.
Tuttavia, le previsioni del nostro codice civile afferiscono inequivocabilmente ai contratti di “locazione” e “sublocazione” che esamineremo qui di seguito.
CONTRATTO DI LOCAZIONE
Il contratto di locazione, sostanzialmente, prevede il godimento esclusivo dell’immobile da parte del conduttore.
Il locatore, infatti, secondo le previsioni dell’art. 1.575, comma 3, del Codice Civile, risulterebbe essere obbligato a “garantirne il pacifico godimento durante la locazione”.
Il conduttore, tra l’altro, risulta essere obbligato a sostenere finanche le spese di ordinaria amministrazione nonché quelle afferenti riparazioni di vario genere (purché di importo ridotto), secondo le disposizioni di cui all’art. 1.609 c.c. (previsione, quest’ultima, a cui il legislatore ha concesso la facoltà alle parti di derogare in tal senso, accordandosi diversamente).
Ulteriormente, Il contratto di locazione necessita di essere registrato (da parte del locatore) entro 30 giorni dalla data di sottoscrizione. Tale obbligo, ad ogni modo, non sorge in relazione ai contratti di locazione che non superino i 30 giorni complessivi nell’anno.
Da ultimo, si evidenzia come elementi tipici cui il locatore e il conduttore devono attenersi nella redazione del contratto di locazione, appaiono i seguenti:
i) la data di stipula: essa coincide con la data della firma del contratto. Qualora, tuttavia, la medesima dovesse coincidente con “la data di decorrenza” (la quale, si precisa, ben potrebbe essere anteriore a quella della stipula), si riterrà valida ai fini dell’avvio del conteggio termine – concesso alle parti – per la registrazione del contratto che, ai sensi di legge, deve avvenire nel termina massimo di trenta giorni (si ribadisce, dalla data della stipula o, se questa è posteriore, da quella di decorrenza);
ii) l’indicazione dettagliata delle generalità delle parti: elemento necessario del contratto di locazione risulta essere, inoltre, la minuziosa indicazione delle generalità delle parti (nome e cognome, ragione sociale – nei casi di persone giuridiche -, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza e/o sede sociale, codice fiscale e/o partita Iva), ovverosia di quei soggetti che andranno a sottoscrivere il medesimo accordo, vale a dire: il locatore e il conduttore;
iii) l’identificazione del bene: ovverosia l’oggetto sotteso al contratto tra le parti (l’immobile). Necessitano di essere fedelmente riportati i seguenti dati: indirizzo corredato dalla precisazione di eventuale scala e piano; l’ubicazione dell’immobile nel comune di pertinenza; i dati catastali dell’immobile, i locali di cui si compone, le eventuali pertinenze nonché, da ultimo, l’uso per cui viene ceduto in locazione;
iv) il prezzo del canone di locazione: ai sensi dell’art. 1571 c.c., il corrispettivo configura la controprestazione del contratto – spettante al locatore – in virtù della cessione in locazione del bene in favore del conduttore.
Tale “canone di locazione“, dunque, consiste nella mera somma di denaro che il conduttore si obbliga a versare al locatore allo scadere del periodo concordato (ad esempio: mensilmente, trimestralmente o quadrimestralmente), liberamente pattuita fra le parti. Solitamente, nello schema contrattuale, le parti hanno l’onere e l’interesse di specificare le voci di cui si compone il corrispettivo dovuto distinguendo, sostanzialmente, fra corrispettivo annuo (il prezzo concordato per la locazione dell’immobile), le spese annue (le somme dovute per gli oneri accessori quali, ad esempio le utenze e i canoni condominiali) e, da ultimo, la rata pattuita (la cifra da pagare periodicamente quale sommatoria tra le due precedenti voci);
v) la durata della locazione: disciplinata dall’art. 1573 del codice civile il quale, tuttavia, ne stabilisce una durata massima (quantificata in trent’anni) e non minima lasciando, di talché, libertà alle parti circa una determinazione in tal senso e rimandando, eventualmente, all’istituto della “locazione senza determinazione di tempo” di cui all’art. 1574 c.c.
Ad ogni modo, la durata del contratto è normalmente stabilita dalle leggi speciali di settore le quali hanno circoscritto sia i termini di decorrenza che quelli di rinnovo. È stato disciplinato infatti, per quanto riguarda i primi termini, un periodo di 4 anni per i contratti ad uso abitativo (cfr. L. 431/98), 6 anni per i contratti ad “uso diverso” e 9 anni per uso alberghiero (cfr. L. 392/78) mentre, da ultimo, per quanto concerne quelli afferenti al rinnovo, sono state previste le seguenti formule:
– “contratti ad uso abitativo” di durata 4+4 (contratto ordinario a canone libero);
– “contratti transitori” di durata non inferiore a un mese e non superiore a 18 mesi;
– “contratti di locazione convenzionati o a canone concordato” di durata 2+2;
– “contratti transitori per studenti” di durata dai 6 ai 36 mesi;
– “contratti di comodato d’uso” attraverso cui il proprietario consegna l’immobile ad all’altra persona affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
DIFFERENZA FRA CONTRATTO DI LOCAZIONE E CONTRATTO DI OSPITALITA’
La legge non detta alcuna previsione al riguardo.
Tuttavia, è possibile evincere le differenze direttamente dalla lettura del contenuto contrattuale sottoscritto fra le parti.
Innanzitutto, se in relazione al contratto di locazione, le spese di ordinaria amministrazione e le piccole riparazioni sono poste a carico del conduttore – secondo le prescrizioni di cui all’art. 1609 c.c. – (anche se derogabile fra le parti), in relazione al contratto di ospitalità, le medesime sono poste a carico del locatore.
La suindicata differenza, invero, è stata più volte sottolineata dalla granitica e consolidata giurisprudenza. Si consideri, in tal senso, la pronuncia della Corte di Cassazione n. 11859 del 2.11.1992 (precorritrice dell’attuale orientamento diffuso), secondo cui:
“Sono tali caratteristiche che distinguono il contratto di locazione da quello di albergo o di residence, nei quali la prestazione di determinati servizi assume funzione paritetica rispetto al godimento dell’immobile ed entra nel sinallagma contrattuale.[…] Nel contratto di abitazione in residence, soprattutto, al godimento di un monolocale od appartamento forniti di arredamento, si aggiunge la prestazione di una serie di servizi, simili ai servizi alberghieri, quali il portierato, la fornitura della luce, la pulizia dei locali e della biancheria, etc., quali contenuto specifico del sinallagma contrattuale, nonché l’esistenza di altri servizi, quali ristorante, etc., liberamente fruibili.
Viceversa, ne rimangono esclusi, come nel contratto di albergo, alcune obbligazioni proprie del contratto di locazione, quali quella di provvedere alle piccole riparazioni (art. 1609 c.c.). Questa Corte ha avuto già modo di precisare che «il contratto di residence si differenzia dal contratto di locazione di immobile arredato, che è soggetto alla disciplina della l. 27 luglio 1978, n. 392, perché in quest’ultimo l’oggetto della prestazione si esaurisce nel godimento del bene (ancorché il concedente possa eventualmente fornire prestazioni accessorie rientranti nel novero dei normali servizi condominiali), mentre nel contratto di albergo e di residence il godimento dell’immobile, avente di regola carattere temporaneo e transitorio, si accompagna e si integra con una serie di servizi, di natura genericamente alberghiera, riconducibili al contratto d’opera, che assumono una rilevanza paritetica rispetto alla prestazione dell’alloggio» (Cass. 04.02.1987, n. 1067).
È l’esistenza e l’effettiva fornitura di alcuni servizi, e la possibilità di fruizione di altri nonché l’esclusione di talune obbligazioni proprie del conduttore, secondo quanto chiarito in precedenza, che distingue la locazione del contratto di residence”.
A tal proposito, si consideri che, normalmente, il contratto di locazione viene utilizzato in riferimento a dimore private e che, viceversa, il contratto di ospitalità si colloca all’interno di strutture ricettive aperte al pubblico, con la conseguente applicazione della relativa disciplina di settore.
Ulteriormente, se da un lato il contratto di locazione è soggetto all’obbligo di registrazione, un medesimo obbligo non è previsto in relazione al contratto di ospitalità. In tal senso, il Tribunale di Foggia, con sentenza del 30.07.2014, ha affermato che “il contratto turistico «vuoto per pieno» avente ad oggetto la cessione di alcune unità immobiliari rientrando nel novero dei contratti di ospitalità tra i quali è compreso quello di albergo, non costituisce un semplice contratto di locazione, ma un contratto caratterizzato da molteplici prestazioni tutte collegate per cui non è nullo per omessa registrazione posto che non rientra nella tipologia di contratti soggetti a tale adempimento”.
Ed ancora, in riferimento alla distinzione fra contratto di locazione e contratto di ospitalità, appare qui necessario fare menzione circa la procedura di rilascio dell’immobile e, in particolare, circa la possibilità concessa al locatore di ricorrere alla procedura di sfratto ex art. 657 c.p.c.
Possibilità, tuttavia, riconosciuta solamente in capo al locatore in presenza di un contratto di locazione e non, viceversa, in presenza di un contratto di ospitalità.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione Penale con sentenza n. 26233 del 12.04.2006, secondo cui “non può essere considerato illecito l’intervento di un funzionario della Polizia di Stato, svolto nell’esercizio dei poteri di composizione dei dissidi privati che indubbiamente compete all’autorità di pubblica sicurezza, al fine di persuadere l’occupante moroso di una camera di residence a rilasciare l’immobile, nel quadro di un rapporto contrattuale di alloggio, al quale, per la sua atipicità, non si applica la procedura dello sfratto prevista per il contratto tipico di locazione; […] la tesi è conforme alla giurisprudenza civile in materia e alle pronunce giurisdizionali richiamate nella sentenza, dalle quali si desume l’equiparazione del contratto di residence a quello di albergo e all’atipicità di esso, che lo sottrae alla previsione dell’art. 657 c.p.c., il quale contempla il contratto tipico di locazione”.
Sotto il profilo penalistico, una netta separazione fra le due tipologie di contratto si può evincere in riferimento all’integrazione del reato di “violazione di domicilio” ex art. 614 c.p. da parte del locatore che entri all’interno dell’immobile locato o concesso in godimento con un contratto di ospitalità senza il necessario consenso dell’inquilino.
La fattispecie di reato in parola, invero, risulta essere perfettamente integrata con riferimento al contratto di locazione che, si ribadisce, prevede il godimento esclusivo dell’immobile da parte del conduttore con conseguente esclusione del locatore, il quale, di talché, non avrà alcuna possibilità di accesso all’immobile in assenza del conduttore (salvo idoneo preavviso o consenso), laddove non sussistano ragioni di particolare necessità e/o urgenza.
Diversamente, in relazione al contratto di ospitalità, non si può considerare un’esclusione totale del proprietario dall’immobile. Il Tribunale di Monza, in questo senso, con la sentenza n. 2258 del 28.09.2012 ha asserito che “difetta, invero, all’integrazione del reato ipotizzato [reato di violazione di domicilio] uno ius excludendi assolutamente imperfetto: la locazione di una stanza d’albergo è cosa ben diversa dalla locazione di un immobile ad uso abitativo dove al locatore (come a chiunque altro) è inibito l’ingresso in assenza del conduttore o in sua dissenziente presenza. Come ben risulta, invero, dalle condizioni generali di contratto che regolamentano il rapporto giuridico tra l’ospite/cliente e l’organizzazione alberghiera si tratta di obbligazioni assai diverse dalla “normale” locazione che con essa non vanno confuse (così da ipotizzare come alternativa il reato di ragione fattasi).
Noto è per esempio che la Direzione, usualmente, si riservi il diritto – in caso di utilizzo prolungato della camera (un caso classico è il superamento oltremisura degli orari indicati per la partenza) – di rimuovere gli oggetti dell’ospite dalla camera e di custodirli in un luogo opportuno della struttura (talvolta financo a spese dell’ospite). Diritto che certo non compete al locatore in caso di finita locazione, il quale non può di sicuro procedere ad autonomo trasloco.
Ed ancora è noto che l’organizzazione alberghiera si possa riservare i c.d. diritti opzionali sul cambio della camera nella cui assegnazione l’ospite non può vantare pretese, per così dire, individualizzanti. Ed infine è altresì noto ch’essa possa recedere dal contratto, per ragioni considerate legittime e con effetto immediato, che certamente differenziano profondamente l’organizzazione alberghiera da una locazione d’immobile”.
Da ultimo, appare qui necessario fare riferimento alle conseguenze derivanti dall’insorgenza di una controversia.
Per quel che concerne il contratto di locazione, in particolare, l’art. 5, comma 1 bis del D.lgs. 28/2010, – così come modificato dall’Art. 84 della L. 98/2013 – ha introdotto una procedura di mediazione obbligatoria, per mezzo della quale “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di […] locazione […], è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal d.lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni, per le materie IVI regolate.
L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La procedura di mediazione, al contrario, non è prevista come obbligatoria anche in relazione al contratto di ospitalità, per cui, in questo caso, starà alle parti decidere se ricorrere ad una procedura di mediazione, ad un arbitrato o se adire direttamente il giudice”.
CONTRATTO DI SUBLOCAZIONE
Il contratto di sublocazione presuppone la concessione dell’appartamento da parte dell’inquilino (che ha già in locazione tale immobile) ad un soggetto terzo.
Si distingue fra sublocazione totale nel caso di concessione dell’intero immobile e di sublocazione parziale nel caso di concessione di una specifica area o stanza.
Esso soggiace ai termini ed alle condizioni del contratto di locazione “madre”.
Di talché, affinché questi il contratto di sublocazione possa essere ritenuto valido, è necessario che il contratto di locazione iniziale autorizzi espressamente l’inquilino a cedere l’appartamento a terzi attraverso l’allocazione di una specifica ed apposita clausola in cui venga consentita tale sublocazione. Qualora essa non dovesse essere presente o, viceversa, ne dovesse prevedere un espresso divieto di sublocazione, il proprietario di casa avrà la facoltà di agire davanti al giudice per ottenere la risoluzione del contratto potendo, conseguentemente, espellere dall’appartamento sia il locatario che il sublocatario.
È prevista la possibilità, comunque, di essere autorizzati alla sublocazione anche in un momento successivo purché tale consenso sia messo per iscritto ed in maniera definitivamente chiara.
Per quanto concerne la durata della sublocazione, essa non può avere una durata superiore a quella prevista nel contratto di locazione originario, di talché essa cesserà insieme al primo contratto. È consentita, dunque, la libera contrattazione tra le parti circa la scadenza della sublocazione, purché rientrante nel perimetro temporale anzidetto.
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