Le Sezioni Unite – Civili della Corte di Cassazione si sono espresse con ordinanza del 16 novembre 2020 sul tema delle azioni risarcitorie proposte dai risparmiatori nei confronti degli organi di vigilanza (ovverosia Banca d’Italia e Consob) per omessa, inadeguata o ritardata vigilanza sulle banche.
di Redazione Compliance Legale
La Corte Di Cassazione, Sez. Unite Civili, con Ordinanza n. 25953 del 16 novembre 2020 ha preliminarmente ribadito come le controversie afferenti alle domande proposte da investitori e azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob) circa i danni conseguenti alla mancata, inadeguata e/o ritardata vigilanza da essi attuata su banche e intermediari finanziari, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario non venendo in rilievo, dunque, la contestazione di alcun potere amministrativo ma, piuttosto, di comportamenti “doverosi” posti a tutela del risparmio, concretizzandosi in capo ai summenzionati organi una violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari riguardanti la corretta esecuzione dell’attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del neminem laedere (in questo senso anche Cass., sez. un., n. 6324, 6325, 6451, 6452, 6453 e 6454 del 2020).
IL CASO DI SPECIE
La vicenda trae origine dalla chiamata in causa (e la richiesta di condanna, in solido, al risarcimento del danno ex art. 2043 cc) della Banca d’Italia e della Consob da parte di un socio azionista della Banca Popolare di Vicenza S.p.A., in virtù dell’omesso o inadeguato esercizio dell’attività di vigilanza sulla già menzionata Banca.
La pretesa de quo, sostanzialmente, si fonda sulla dedotta responsabilità delle Autorità convenute, in relazione sia ad operazioni di investimento finanziario, sia ad aumenti di capitale effettuati sulla base di dati alterati.
Tali operazioni, infatti, sono state oggetto di ispezione e segnalazione sin dal 2012 ma, tuttavia, fatte oggetto di iniziativa di vigilanza e di sanzione solamente nel 2016, quale conseguenza di alcuni rilievi posti in essere dalla Banca Centrale Europea.
Di talché, secondo la parte attrice, le Autorità di vigilanza «avrebbero trascurato rilevanti disfunzioni – specificamente, in tema di metodo di determinazione del prezzo delle azioni e di mancata deduzione dal capitale regolamentare dell’importo delle azioni sottoscritte o acquistate mediante forme di assistenza finanziaria fornite dalla stessa BPV – e non sarebbero intervenute in modo da evitare i conseguenti danni a carico degli investitori, in particolare impedendo le operazioni di aumento di capitale effettuate nel 2013 e 2014 mediante la propria attività di vigilanza e l’esercizio dei propri poteri».
Il pregiudizio patrimoniale, dunque, consisterebbe da un lato nell’azione intrapresa dall’intermediario finanziario (il quale avrebbe determinato il deprezzamento delle azioni acquistate dagli investitori a prezzi elevati) e, dall’altro lato, dalla trascuratezza delle Autorità di vigilanza le quali, si ribadisce, in spregio alle competenze attribuite loro dall’art. 51 del T.U.F., avrebbero consentito le medesime operazioni omettendo di impedire gli ingenti aumenti di capitale avvenuti sulla base di elementi alterati e fittizi.
La Banca d’Italia, dal canto suo, ha proposto il regolamento preventivo di giurisdizione sostenendo che la causa incardinata dinanzi al Tribunale di Vicenza appartasse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giacché afferente «alla vigilanza sul credito» ex art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. atteso che, come evincibile supra, la causa petendi consisterebbe nella mera valutazione della congruità e della ragionevolezza di scelte e decisioni (prerogative) autoritative dell’Autorità di Vigilanza venendo in rilievo, dunque, il profilo della discrezionalità tecnica che impedirebbe di procedere nel verso della qualificazione dell’agire nei termini anzidetti di adempimento o inadempimento degli obblighi assunti.
LE CONSIDERAZIONI DEGLI ERMELLINI
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “le controversie relative alle domande proposte da investitori e azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e CONSOB) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza su banche e intermediari sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti «doverosi» posti a tutela del risparmio, che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo tali autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relative al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del neminem laedere (in questo senso: Cass., sez. un., n. 6324, 6325, 6451, 6452, 6453 e 6454 del 2020)”
Non sembrerebbero confacenti, pertanto, le censure addotte dalla Banca d’Italia secondo cui l’attività di vigilanza sarebbe unicamente connotata da discrezionalità tecnica la quale, quest’ultima, non consentirebbe affatto di classificare la condotta delle Autorità di vigilanza in termini di inadempimento di qualsivoglia obbligazione. La domanda attorea, invero, non evidenzierebbe l’esistenza di alcuna obbligazione contrattuale quanto, tuttalpiù, la violazione del più ampio principio del neminem laedere ex art 2043 c.c.
Tuttavia, è noto come finanche nel campo della discrezionalità tecnica, l’attività della pubblica amministrazione debba svolgersi nei limiti fissati dalla legge e dalle normative tecniche di settore, nonché nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 2043 c.c. (divieto del “neminem laedere”), “sicché detta discrezionalità non può mai estendersi alla scelta radicale tra l’attivarsi o meno, specie qualora siano emersi gravi indizi di irregolarità” venendosi a generare, altrimenti, un’ipotetica “immunità dalla responsabilità aquiliana in capo agli organismi di vigilanza” (in questo senso, da ultimo, Cass. n. 9067 del 2018).
Secondo la linea difensiva perseguita dalla Banca d’Italia, inoltre, il distinguo tra il «risparmiatore-investitore» e il «socio azionista», della cui omessa vigilanza si tratta, giustificherebbe l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo poiché, il socio azionista – a differenza del risparmiatore che troverebbe tutela proprio nell’attività dell’Autorità di vigilanza – sarebbe soggetto ai poteri di diritto pubblico ascrivibili alle suddette Autorità, le quali hanno la piena facoltà di disporre:
i) la sospensione del diritto di voto (t.u.b. n. 385 del 1993, art. 24);
ii) la convocazione dei soci e il divieto di distribuzione degli utili (art. 53);
iii) la sospensione delle funzioni dell’assemblea dei soci a seguito dell’amministrazione straordinaria (art. 70).
Tuttavia, anche siffatto profilo giuridico-fattuale non sembrerebbe materializzare i crismi ed i requisiti necessari per la configurazione della vicenda nell’alveo della giurisdizione amministrativa.
Ed infatti, nella vicenda in esame, l’invocata relazione “potestà-soggezione” non viene in alcun modo in risalto, non essendo sufficiente l’asserzione secondo cui gli azionisti non sarebbero meri beneficiari della tutela del risparmio ma parrebbero essere «coinvolti» negli interventi delle Autorità di vigilanza.
Alla luce di quanto sin qui esposto, dunque, considerando che i destinatari delle sanzioni e/o misure adottate dalle Autorità di vigilanza non siano gli azionisti ma i medesimi istituti di credito [che agiscono tramite i loro organi amministrativi e di controllo ai sensi degli artt. 53 bis, 67 ter, 108, comma 3, 114 quinquies, comma 3, del T.U.B.], non è dato cogliere né all’interno del T.U.F. né, più in generale, sul piano dei principi di diritto, una ragione giuridica per cui qualità di azionista di una società creditizia dovrebbe prevalere sull’aspetto inerente la gestione dell’istituto di credito, il cui vaglio sulla correttezza e l’adeguatezza dell’esecuzione è rimesso esclusivamente al controllo degli organismi pubblici di vigilanza.
È stato, dunque, rilevato dal Procuratore Generale come il pregiudizio lamentato dall’attore – nonché la pretesa risarcitoria di quest’ultimo verso le Autorità – non mettano in gioco l’esercizio degli specifici poteri autoritativi che le medesime Autorità possono svolgere verso i soci, posto che tale doglianza sia rapportata ad irregolarità attuate dall’intermediario finanziario (le quali hanno alterato il quadro dell’operazione negoziale conclusa dal soggetto e le cui conseguenze abbiano avuto effetti diretti nel patrimonio del singolo investitore) suscettibili di controllo da parte delle Autorità di vigilanza.
Alcuna rilevanza detiene, pertanto, la distinzione fra la qualità rivestita dall’investitore o dal socio-azionista valendo, infatti, per entrambe le figure il medesimo pregiudizio derivante dall’omissione dell’attività di vigilanza invocata a titolo di evento da cui ne sia scaturito il danno patrimoniale.
Si legge, infine, nell’ordinanza delle Sezioni Unite, come “nel giudizio principale, la doglianza si riferisce alla violazione, da parte della Banca, di doveri di chiarezza ed esattezza informativa, nel proporre al pubblico degli acquirenti delle azioni, tra cui l’attore, un prospetto informativo alterato perché basato su dati inveritieri, senza che sia possibile né conforme a diritto operare sub-distinzioni all’interno della platea degli acquirenti, tutti essendo qualificabili come investitori-risparmiatori nel quadro della disciplina di regolazione dell’intermediazione finanziaria, e senza che sia possibile ravvisare, nella mancata attivazione della vigilanza, una qualsiasi correlazione con il profilo del potere esercitabile nei casi, ben determinati, indicati dal Testo unico in materia bancaria”.
Proprio per tali ragioni, dunque, è stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
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