Il diritto all’oblio consiste, in sintesi, in una prerogativa concessa ai soggetti interessati di non vedere diffuse delle informazioni personali che li riguardino e che possano costituire un precedente pregiudizievole del loro onore. Sul tema, particolare interesse riveste il provvedimento del Garante Privacy del 15 ottobre 2020 n. 194 secondo cui una persona ha diritto a veder deindicizzati dai motori di ricerca gli articoli che riportano vicende giudiziarie risalenti nel tempo alle quali è poi risultata estranea.
Di Redazione Compliance Legale
Indice
Principali riferimenti normativi
Le disposizioni normative oggi applicabili in materia di diritto all’oblio sono quelle di cui agli artt. 17, 21 e 22 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (c.d. “GDPR”).
In particolare, l’articolo 17 del Regolamento, rubricato per l’appunto “Diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»)”, dispone che:
l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:
a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
b) l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
c) l’interessato si oppone al trattamento e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento;
d) i dati personali sono stati trattati illecitamente;
e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;
f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.
Il titolare del trattamento, inoltre, se ha reso pubblici dati personali e se è obbligato a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.
Tali condizioni, tuttavia, non si applicano quando il trattamento dei dati sia necessario per:
– l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
– l’adempimento di un obbligo giuridico che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento;
– motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica;
– a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, nella misura in cui il diritto alla cancellazione dei dati rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento;
– l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.
Il provvedimento del Garante Privacy n. 194/2020 nei confronti di Google
Il provvedimento del Garante Privacy del 15 ottobre 2020 n. 194 rappresenta un’importante pronuncia in materia, specialmente nella parte in cui afferma che un soggetto ha diritto a veder deindicizzati dai motori di ricerca gli articoli che riportano vicende giudiziarie risalenti nel tempo ed alle quali è poi risultato estraneo.
La vicenda procedimentale dinanzi al Garante per la privacy nasceva da alcuni reclami volti a richiedere di disporre, nei confronti di Google LLC, l’ordine di rimuovere gli URL “Uniform Resource Locator” che riportavano a diversi articoli reperibili in internet facendo una ricerca con i nominativi dei segnalanti medesimi.
In un caso, in particolare, il nominativo del segnalante figurava all’interno di alcuni articoli di stampa ove si faceva menzione di un collegamento tra la società in cui quest’ultimo prestava la propria attività lavorativa ed un altro operatore economico coinvolto in un procedimento giudiziario. Nell’altro caso, invece, il nominativo del segnalante compariva in alcuni articoli riguardanti un’inchiesta giudiziaria in cui trovavano coinvolgimento altre persone.
In nessuno dei due casi presi in esame, tuttavia, emergeva che i reclamanti fossero stati mai sottoposti a provvedimenti giudiziari, circostanza peraltro confermata dai certificati penali.
In considerazione di ciò veniva contestato – ragionevolmente e correttamente secondo il Garante – il pregiudizio personale e professionale scaturito dalla permanenza online degli articoli dei quali, per l’effetto, ne veniva richiesta la rimozione.
Per contro, Google, in replica alle censure mosse dai reclamanti, aveva affermato l’insussistenza dei presupposti del diritto all’oblio e, quindi, alla cancellazione degli URL, sostanzialmente in virtù del fatto che i contenuti reperibili attraverso gli URL oggetto di richiesta di rimozione risalivano ad epoca asseritamente recente e riguardano fatti avvenuti tra il 2010 ed il 2012.
Con il provvedimento in commento il Garante, dopo aver ribadito che ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per ritenere legittimamente esercitato il diritto all’oblio, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, ha ritenuto pienamente fondati i reclami.
In accoglimento delle tesi dei segnalanti ha quindi affermato il principio per cui la perdurante reperibilità in rete di articoli collegati ai nominativi di questi ultimi ha creato un impatto sproporzionato sui loro diritti, posta altresì l’assenza di un contrapposto interesse pubblico a conoscere informazioni che non hanno avuto alcun seguito giudiziario nei loro confronti.
Per tali ragioni il Garante per la privacy ha ordinato a Google, ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento Ue 2016/679, la rimozione degli URL nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento, disponendo contestualmente l’annotazione della misura adottate nei confronti del motore di ricerca nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento medesimo.
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