Medici di base: obbligo visite domiciliari ai malati Covid in quarantena

Con la sentenza 18 dicembre 2020 n. 8166 il Consiglio di Stato, Sez. III, all’esito di un complesso contenzioso amministrativo, ha confermato che rientra nei compiti dei medici di medicina generale lo svolgimento delle visite domiciliari ai malati Covid in quarantena.

Di Redazione Compliance Legale

LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO E L’OBBLIGO IN CAPO AI MEDICI DI MEDICINA GENERALE DI PRESTARE ASSISTENZA DOMICILIARE AI MALATI COVID-19


Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza 18 dicembre 2020 n. 8166, ha accolto il ricorso in appello proposto dalla Regione Lazio avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11991/2020 che aveva inizialmente annullato l’Ordinanza del Presidente della medesima Regione n. Z00009 del 17.3.2020 recante «Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica», in BUR Lazio n. 27, Suppl. n. 3 del 17.3.2020.

Con tale ordinanza, in sintesi, la Regione Lazio aveva ritenuto di poter adeguatamente rispondere all’emergenza epidemiologica anche attraverso l’utilizzo di aggregazioni territoriali (Unità di Cure Primarie UCP e Unità Complesse di Cure Primarie), individuando in ciascuna di esse un Referente COVID, dotato di tutti i presidi di prevenzione, cui affidare l’assistenza, anche a domicilio, dei pazienti affetti dal virus, così affiancando tale modulo di intervento all’Unità Speciale di Continuità Assistenziale Regionale (USCAR) per COVID-19, pure istituita ai sensi della disposizione nazionale prevista dall’art. 4 bis D.L. 17/03/2020, n. 18 per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 non necessitanti di ricovero ospedaliero.

Al giudizio, azionato in primo grado da alcuni medici di medicina generale e dal Sindacato dei Medici Italiani – SMI hanno partecipato anche il Codacons, Articolo 32-97 – Associazione Italiana per i Diritti del Malato e del Cittadino, l’Azienda Sanitaria Locale Roma 3, nonché le seguenti Regioni: Regione Puglia, Regione Veneto, Regione Molise, Regione Liguria, Regione Lombardia, Regione Calabria, Regione Autonoma Valle D’Aosta, Regione Piemonte, Regione Basilicata, Regione Autonoma della Sardegna, Regione Emilia Romagna, Regione Campania.

Hanno anche presentato opposizione di terzo ai sensi dell’art. 109 comma 2 c.p.a., la Sezione regionale del Lazio e le Sezioni provinciali di Roma e Latina della FIMMG – Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, unitamente a diversi medici.

In primo grado il TAR del Lazio, aveva accolto il ricorso con il quale veniva dedotto, in sintesi, che in conseguenza dei provvedimenti regionali impugnati i medici di medicina generale sarebbero stati investiti di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid del tutto impropria, spettante, in base all’art. 8 D.L. n. 14/2020 prima ed art. 4-bis D.L. n. 18/2020 (conv. in L. 27/2020) poi, unicamente alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (c.d. USCA) istituite dal Legislatore nazionale d’urgenza proprio ed esattamente a questo scopo.

Funzione che avrebbe distratto i ricorrenti dal loro precipuo compito, consistente nella prestazione della assistenza ordinaria, a tutto detrimento della concreta possibilità di assistere i tanti pazienti non Covid, molti dei quali affetti da patologie anche gravi.

Il Consiglio di Stato, tuttavia in riforma della predetta sentenza, a conclusione di un giudizio particolarmente complesso e delicato, anche per le tematiche trattate, ha affermato la correttezza del provvedimento adottato dalla Regione Lazio, sul presupposto che le norme emergenziali, anche di carattere organizzativo, costituiscono norme speciali e derogatorie che si innestano in un contesto noto e presupposto dal legislatore, in modo da modellare l’assetto organizzativo ordinario e renderlo maggiormente idoneo a fronteggiare l’emergenza.

Ha statuito, inoltre, il Consiglio di Stato, che l’art. 4-bis del d.l. n. 18 del 2020 sarebbe chiaro nel senso di voler alleggerire i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e i medici di continuità assistenziale, dal “carico” derivante dall’esplosione pandemica, affiancando loro una struttura capace di intervenire a domicilio del paziente, a richiesta dei primi, ove questi, attanagliati da una fase di così diffusa morbilità e astretti dalle intuibili limitazioni temporali e fisiche, o anche legate all’indisponibilità temporanea di presidi efficaci, non possano recarsi al domicilio del paziente, o ritengano, in scienza e coscienza, nell’ambito della propria autonoma e libera valutazione medica, che sia necessaria o preferibile l’intervento della struttura di supporto.

Nessuna deroga ai Livelli essenziali di assistenza (“LEA”), quindi, ma garanzia della loro effettività attraverso un supporto straordinario e temporaneo – gli USCAR – destinato ad operare in sinergia e nel rispetto delle competenze e prerogative dei medici di medicina generale e degli altri medici indicati.

Trarre dalle disposizioni in commento un vero e proprio divieto per i medici di medicina generale di recarsi a domicilio per assistere i propri pazienti alle prese con il virus costituirebbe, per converso, – sempre secondo la ricognizione operata dai Giudici di Palazzo Spada – “un grave errore esegetico, suscettibile di depotenziare la risposta del sistema sanitario alla pandemia e di provocare ulteriore e intollerabile disagio ai pazienti, che già affetti da patologie croniche, si vedrebbero (e si sono invero spesso visti), una volta colpiti dal virus, proiettati in una dimensione di incertezza e paura, e finanche abbandonati dal medico che li ha sempre seguiti”.


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