La compliance aziendale si prefigge il risultato ultimo di conformare le attività aziendali alle varie normative di settore, con particolare riferimento alle procedure, ai regolamenti, ai codici di condotta e, in generale, alle disposizioni di legge nazionali e comunitarie. Per tale motivo, dunque, la figura dell’avvocato diventa determinante ed imprescindibile all’interno dell’organizzazione.
di Redazione Compliance Legale
Indice
Inquadramento generale: il d.lgs. 231/2001
La compliance aziendale non rappresenta altro che un indicatore relativo alla liceità/illiceità (o meglio, conformità alle norme di settore) dell’operato aziendale.
Invero, per mezzo di tale processo di rilevamento ed adeguamento dei processi aziendali all’evoluzione normativa posta in essere dal legislatore nazionale e comunitario, l’azienda ben potrà eludere la possibilità di incorrere nelle sanzioni previste dalle disposizioni di legge e, per l’effetto, salvaguardare l’organizzazione societaria finanche da rischi legali e reputazionali.
Inoltre, ai tempi d’oggi, essere compliant non rappresenta unicamente un mero adempimento “passivo” alle disposizioni settoriali, ma, addirittura, configura adempimenti ulteriori quali la sicurezza dei lavoratori, la garanzia della trasparenza gestionale nei flussi commerciali, la divisione settorializzata di oneri e responsabilità strutturali-organizzative (specie nei rami apicali), l’impiego di sistemi di gestione della qualità e non solo.
In altri termini, per il tramite del procedimento di compliance, non si realizzerà nient’altro che un percorso capace di rendere la realtà aziendale “socialmente coscienziosa” e, pertanto, responsabile, assumendo in prima persona obblighi e doveri afferenti alle attività ed agli obiettivi perseguiti, aumentandone la solidità reputazionale, finanziaria e produttiva.
Ed infatti, la corretta e puntuale gestione del rischio di non conformità, attraverso la tempestiva adozione – da parte dell’impresa – del modello organizzativo di gestione e di controllo aziendale disciplinato dal d.lgs. 231/2001 – favorisce senza ombra di dubbio, in capo all’azienda:
- il consolidamento dei relativi principi etici e morali (fissati – come da prassi – nel codice etico aziendale);
- il miglioramento ed il potenziamento delle relazioni e del conseguente rapporto fiduciario con la clientela;
- la tutela degli gli amministratori da eventuali responsabilità personali (penali);
- l’armonizzazione dei comportamenti fra i dipendenti aumentando, di talché, la competitività dell’azienda nel mercato di riferimento;
- la prevenzione di ricadute negative sul bilancio, sull’immagine e sulla reputazione da parte dell’opinione pubblica, della clientela, della comunità finanziaria e di tutti gli stakeholder, evitando, pertanto, il rischio di sanzioni (pecuniarie o interdittive) con potenziali gravissime ripercussioni di carattere patrimoniali e d’immagine;
- l’elusione di pratiche corruttive all’interno della struttura aziendale, nonché di rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e/o ambientali e di commettere altri reati definiti “presupposto” della responsabilità degli enti.
In altri termini, il d.lgs. 231/2001 introduce nel nostro ordinamento la responsabilità penale degli enti (ne abbiamo parlato anche qui, citando la Sentenza Cass. Penale n.11518 del 15 marzo 2019 – clicca qui), aggiungendosi a quella ricadente in capo alla persona fisica che ha commesso il fatto illecito.
Sostanzialmente, l’ampliamento della summenzionata responsabilità è finalizzato a sanzionare illeciti penali di rango patrimoniale (per gli enti), nonché afferenti ad interessi economici (per i soci) che, fino all’entrata in vigore del d.lgs. 231/2001, non subivano alcuna conseguenza per la realizzazione di reati commessi da parte degli amministratori e/o dai dipendenti aziendali.
Dunque, risultano essere destinatari delle prescrizioni di cui al d.lgs. 231 le persone giuridiche, le società o associazioni (anche prive di personalità giuridica) e gli enti pubblici economici i quali ben potranno essere sanzionati nel caso in cui venisse accertato – nell’ambito di un processo penale – la commissione di un comportamento illecito (nell’interesse o a vantaggio dell’ente) da parte di un proprio dipendente.
Tali soggetti giuridici, tuttavia, ben potranno risultare esenti da responsabilità (e, conseguentemente, dall’applicazione di sanzioni in proprio sfavore) nel caso in cui si siano dotati di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (Modello 231, o MOGC, o Compliance Program) all’interno del quale abbiano preliminarmente “mappato” il rischio di commissione di reati avendo adottato, pertanto, tutte le misure organizzative necessarie alla relativa eliminazione del rischio, prevedendo, altresì, la conseguente comminazione di sanzioni in capo agli autori del reato.
Di talchè, qualora il dipendente o il soggetto apicale dovesse comunque violare fraudolentemente le disposizioni del Modello 231 adottato dall’ente di appartenenza, quest’ultimo sarà considerato esente da responsabilità.
I settori del diritto in cui opera la compliance
La compliance normativa spazia tra i rami più variegati del diritto i quali, tuttavia, intersecandosi ineludibilmente l’uno con l’altro, si propongono di raggiungere un fine ultimo comune: la salvaguardia dell’operatività (e la consequenziale esenzione del rischio/responsabilità) dell’azienda. Di seguito i potenziali (e più ricorrenti) settori di applicazione:
- A.I. Intelligenza Artificiale;
- Analisi comparativa e piani di miglioramento;
- Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007);
- Collegi sindacali;
- Composizione della crisi;
- Consulenza fiscale;
- Copyright;
- Corporate e Diritto Societario;
- Cybersecurity;
- Diritto Amministrativo;
- Diritto Bancario (anatocismo, usura, credito al consumo, leasing e mutuo immobiliare);
- diritto del lavoro (discriminazione, codeterminazione, tutela contro il licenziamento);
- Diritto Tributario;
- Due Diligence fiscali e gestionali;
- Farmaceutico e healthcare;
- Fiscalità;
- Food;
- Gestione del rischio;
- Internal Auditing;
- Legislazione antitrust;
- Lotta alla corruzione;
- Marketing, branding e reputazione online;
- Modelli Organizzativi (D.Lgs. 231/2001);
- Organismo di Vigilanza (ODV);
- Proprietà intellettuale;
- Qualità e certificazione (ISO9001);
- Revisione Legale;
- Riorganizzazione aziendale;
- Telecomunicazioni;
- Trasporti;
- Tutela ambientale;
- Tutela del Consumatore;
- Tutela della privacy;
Il modello 231 – la compliance legale
Il Modello 231, dunque, risulta essere lo strumento imprescindibile per evitare sia la commissione dei reati, sia l’eventualità che l’ente risponda dell’illecito penale commesso da un soggetto appartenente alla propria organizzazione interna.
In tale direzione, assume fondamentale importanza l’attività di controllo svolta dell’Organismo di Vigilanza (ODV), il quale – per l’appunto – vigila sul funzionamento e sull’osservanza del Modello adottato dall’ente (provvedendo puntualmente alla sua integrazione / evoluzione / aggiornamento).
Esso, pertanto, deve necessariamente integrarsi con gli altri sistemi di gestione presenti nell’organizzazione aziendale quali, ad esempio, ex multis: il Sistema di Gestione della Qualità; il Sistema di Controllo e Gestione della Sicurezza sul Lavoro (d.lgs. 81/2008 – OHSAS 18001); il Sistema Privacy (Regolamento (Ue) 2016/679 GDPR, D.lgs. 196/2003; il Sistema Anticorruzione (ISO 37001) e gli altri sistemi di certificazioni ISO eventualmente presenti e adottati dall’impresa.
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