Sulla conformità alla costituzione dell’art. 120, co. 5, del codice del processo amministrativo, in tema di decorrenza del termine per ricorrere in materia di contratti pubblici

È compatibile con l’art. 24 della costituzione e con il diritto dell’unione europea l’interpretazione secondo cui il termine per proporre il ricorso principale e i motivi aggiunti di cui all’art. 120, co. 5, c.p.a., decorre dalla comunicazione dell’aggiudicazione (in disparte le ipotesi di decorrenza di altra natura), fatta salva la dilazione temporale ammessa ai fini della proposizione degli ulteriori vizi emersi all’esito dell’accesso agli atti. Commento alla sentenza della Corte Costituzionale, 28.10.2021, n. 204.

Di Avv. Claudio Tuveri

Le questioni sollevate nell’ordinanza di rimessione del Tar Puglia


Con la sentenza in commento (n. 204/2021) la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Puglia, Lecce (con l’ordinanza n. 107 del 2.3.2020), concludendo per la sua infondatezza, riguardo al possibile contrasto, con l’art. 24 della Costituzione, dell’art. 120, co. 5, del c.p.a. nella parte in cui individua il termine per proporre motivi aggiunti nelle controversie in materia di contratti pubblici, con l’art. 24 della Costituzione.

L’indicata ordinanza di rimessione è stata adottata nell’ambito di un giudizio nel quale si controverteva, tra l’altro, in ordine alla tempestività, o meno, della proposizione dei motivi aggiunti.

Al riguardo, è utile rammentare preliminarmente che l’art. 120, co. 5, del c.p.a. dispone espressamente: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (…)”.

L’indicata norma sconta, tuttavia, la mancata “attualizzazione” del suo testo, atteso che l’art. 79 del d.lgs. 163/2006 (d’ora in avanti, il “previgente” codice dei contratti pubblici) è stato abrogato in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 50/2016 (d’ora in avanti, il “nuovo” codice dei contratti pubblici).

Sul tema, occorre dar conto della circostanza che la giurisprudenza amministrativa si è da tempo attestata, ricevendo l’avallo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 12/2020, nel senso di considerare il suddetto rinvio come attualmente riferito al nuovo art. 76, co. 2, del nuovo codice dei contratti pubblici recante l’analogo istituto delle informazioni da comunicare ai candidati e agli offerenti nelle gare pubbliche. Quest’ultima norma, pur nella diversa formulazione letterale, assegna, ai fini del tempestivo esercizio dell’accesso agli atti della procedura di gara, il termine di quindici giorni, anziché dieci (previsto dall’abrogato art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici), dalla comunicazione dell’aggiudicazione.

Ciò premesso, ad avviso del giudice remittente l’indicata soluzione non sarebbe compatibile con la lettera dell’art. 120, co. 5, del c.p.a. che “continua a rinviare” all’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici. Peraltro, aggiunge il TAR Puglia, l’interpretazione accolta dalla giurisprudenza “comporterebbe lo slittamento anche del termine per proporre ricorso principale, in radicale contrasto con la previsione del rito accelerato in materia di appalti pubblici”.


Le motivazioni addotte dalla Corte Costituzionale a sostegno dell’interpretazione seguita dalla giurisprudenza amministrativa


Come sopra accennato, la Corte Costituzionale non ha accolto le argomentazioni prospettate dal giudice remittente, ritenendo invece pienamente condivisibile l’interpretazione della norma censurata ormai pacificamente consolidata nell’ambito della giurisprudenza amministrativa.

Nel dettaglio, a fronte dell’affermazione del TAR Puglia secondo cui è proprio il rinvio alla comunicazione di aggiudicazione, di cui all’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici, a impedire la possibilità di “postergare” il dies a quo anche nelle ipotesi di accesso agli atti di gara,  la replica della Corte Costituzionale si fonda sulla circostanza che è proprio il rinvio de quo a giustificare e sorreggere l’interpretazione della norma che assicura una dilazione temporale del termine per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti, correlata all’esercizio dell’accesso nei 15 gg. attualmente previsti dall’art. 76 del nuovo codice dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati, invece, dall’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici).

Sotto un diverso profilo, il giudice remittente sostiene che la permanenza nella norma censurata del rinvio all’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici, rappresenterebbe un ulteriore elemento, di carattere letterale, sfavorevole all’applicabilità dell’art. 76 del nuovo codice dei contratti pubblici. Anche in questo caso la Corte Costituzionale considera infondata la prospettazione del TAR, sul presupposto che l’abrogazione dell’art. 79 del previgente codice dei contratti pubblici ha generato un “dubbio ermeneutico”, sul rinvio disposto dalla norma censurata, sul quale si è innestata l’opera interpretativa costituente “un’attività tipica del giudice”. A tal proposito, precisa ulteriormente la Consulta, “la lettera della legge, per la parte in cui dispone un rinvio ad una disposizione successivamente abrogata, non è un ostacolo, ma al contrario il punto di partenza che onera l’interprete del compito di assegnare alla norma il significato che essa acquisisce, a seguito dell’abrogazione della disposizione oggetto di rinvio“. 

In terzo luogo, sempre ad avviso del TAR Puglia, l’interpretazione intesa a ricondurre all’art. 76 del nuovo codice dei contratti pubblici il rinvio contenuto nella norma censurata si configurerebbe come del tutto “eccentrica”, in considerazione del fatto che il suo accoglimento comporterebbe che il termine per proporre il ricorso principale e i motivi aggiunti inizierebbe a decorrere, non già dalla comunicazione dell’aggiudicazione, bensì “solo a partire dal momento in cui l’interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura” a seguito di richiesta di accesso, ponendosi, per tale ragione, in “radicale contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici”.

La Corte Costituzionale non ha condiviso neppure la descritta eccezione, sul rilievo che non esiste alcuna ragione per sostenere che il rinvio riguarderebbe il solo secondo comma dell’art. 76 del nuovo codice dei contratti pubblici, e non anche il primo comma che attiene alla comunicazione dell’aggiudicazione. Ne consegue, per l’effetto, la piena legittimità dell’interpretazione dell’art. 120, co. 5, del c.p.a., sostenuta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui “il dies a quo per proporre il ricorso principale ed i motivi aggiunti decorre dalla comunicazione dell’aggiudicazione (salve le ulteriori ipotesi di decorrenza di altra natura, ed estranee al presente incidente di legittimità costituzionale), fermo il già descritto meccanismo di dilazione temporale per denunciare i vizi che emergano a seguito dell’accesso agli atti di gara”.


Le conclusioni in ordine alla conformità alla Costituzione dell’interpretazione seguita dalla Giurisprudenza Amministrativa


Dopo aver escluso l’esistenza di qualsivoglia impedimento di tipo “letterale” e/o “logico” rispetto all’interpretazione, della norma censurata, propugnata dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, la Corte Costituzionale si interroga in ordine alla conformità dell’interpretazione stessa rispetto all’art. 24 della Costituzione.

Nel fare ciò la Consulta evidenzia, preliminarmente, che la finalità dell’istituto dei motivi aggiunti è proprio quella di “permettere l’introduzione in giudizio di profili di illegittimità dell’atto impugnato che non era stato possibile percepire innanzi, sulla base della sola cognizione del provvedimento leso”, e che, di conseguenza, l’accoglimento della tesi secondo cui anche il termine per proporre motivi aggiunti inizierebbe a decorrere dalla comunicazione dell’aggiudicazione, indipendentemente dalla circostanza che il vizio “non fosse conoscibile mediante l’impegno della ordinaria diligenza”, comporterebbe una “arbitraria e irragionevole compressione del diritto di agire”. Peraltro, rileva ulteriormente la Corte Costituzionale, anche il diritto dell’Unione europea esige che “il termine per proporre ricorso decorre dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della illegittimità che intende denunciare”.

La Consulta conclude per la piena compatibilità con l’art. 24 della Costituzione, oltreché con il diritto dell’Unione europea, delle “sole interpretazioni del quadro normativo per effetto delle quali la parte disponga di un termine non inferiore a trenta giorni per agire in giudizio, e comunque proporre motivi aggiunti, tenuto conto della data in cui essa ha preso conoscenza, o avrebbe potuto prendere conoscenza usando l’ordinaria diligenza, dei profili di illegittimità oggetto dell’impugnativa. Si tratta, infatti, del termine discrezionalmente scelto dal legislatore per la proposizione sia del ricorso principale, sia dei motivi aggiunti, per i quali ultimi non è stabilita normativamente alcuna dimidiazione di esso”.


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