Il Tribunale di Lecce, con la Sentenza n. 787 del 22.3.2022, ha stabilito che nella circostanza in cui il Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) ed il regime di capitalizzazione composta del contratto di mutuo dovessero risultare indeterminati, bisognerà procedere con il ricalcolo degli interessi secondo il tasso sostitutivo legale.
di Avv. Manuel Costa
Indice
- La vicenda in oggetto e le richieste avanzate dai beneficiari del mutuo
- Il giudicato del Tribunale: sulla nullità del contratto di mutuo, indeterminatezza del TAEG/ISC
- Il giudicato del Tribunale: sulla nullità parziale del contratto di mutuo, ex art.1419 comma 2 c.c. e 1815 comma 2 c.c. per superamento del tasso soglia
- Il giudicato del Tribunale: sulla presunta illegittimità del piano di ammortamento alla francese e sulla violazione del divieto di anatocismo ai sensi dell’art. 1283 c.c.
La vicenda in oggetto e le richieste avanzate dai beneficiari del mutuo
La vicenda giudiziaria in oggetto origina dalla chiamata in causa di un noto Istituto di Credito da parte di due privati contraenti (di seguito anche solo “opponenti”) i quali, nel proporre opposizione avverso l’atto di precetto notificato dall’Istituto di Credito convenuto, hanno chiesto al Tribunale adito di:
- accertare e dichiarare che il TAEG convenuto nel contratto di mutuo non coincide con il reale costo del credito sostenuto e, dunque, rideterminare il TAEG tenendo conto di tutte le voci di costo a tal fine rilevanti secondo i criteri dettati dalla legge;
- rideterminare l’esatto dare-avere tra le parti;
- accertare la usurarietà degli interessi pattuiti in sede di stipulazione del contratto di mutuo, secondo i criteri dettati dalla Corte di Cassazione (ex multis: Cass. 350/13; 602/13 e 603/13)” e, per l’effetto, accertare e dichiarare la nullità di ogni condizione e/o clausola che preveda “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, che siano collegate alla erogazione del credito” che, comunque, determini condizioni bancarie usurarie ai sensi degli artt. 1, L. 7.03.96, n. 108;
- accertare la difformità tra il tasso contrattuale (sia corrispettivo che moratorio) formalmente convenuto ed il tasso contrattuale effettivamente applicato dichiarando, di talché, ai sensi dell’art. 1284 c.c., 1283 c.c. e 1418 c.c., la nullità di ogni condizione e/o clausola che preveda interessi anatocistici e ultralegali di cui al contratto di mutuo;
- accertare e dichiarare la gratuità del contratto di mutuo, per cui null’altro si deve a titolo di interessi in base all’applicazione dell’art. 1815 cod. civ. e, per l’effetto, disporre che le future rate siano calcolate tenendo conto solo del capitale residuo da versarsi;
- accertare e dichiarare la illegittimità illegittimità del sistema di calcolo alla francese allegato al piano di ammortamento del contratto medesimo;
- imputare alla sorte capitale tutto quanto, indebitamente, già corrisposto in esecuzione del rapporto contrattuale;
- accertare e dichiarare l’esatto dare – avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo da effettuarsi, ai sensi degli artt. 1284,1339 e 1419 c.c., applicando il tasso legale senza capitalizzazione, anche in sede di C.T.U. contabile sulla base dell’intera documentazione relativa al rapporto di mutuo.
Si rappresenta, in sintesi, come l’atto di precetto del 28.11.2016 – in questa sede opposto – con cui si chiedeva il pagamento di euro 129.728,91, traeva origine da un debito non onorato dagli opponenti che, nel corso dell’anno 2007, sottoscrivevano con l’Istituto di Credito un contratto di mutuo per l’importo di euro 120.000,00, da rimborsare in 30 anni, mediante il pagamento di 360 rate mensili posticipate, del valore di euro 707,94 cadauna.
Il giudicato del Tribunale: sulla nullità del contratto di mutuo, indeterminatezza del TAEG/ISC
Come rappresentato al paragrafo che precede, gli opponenti deducevano la nullità del contratto di mutuo fondiario poiché il TAEG applicato al finanziamento de quo risultava differente da quello contrattualmente previsto.
Il Tribunale, al riguardo, ha condiviso le doglianze di parte attrice e argomentato come segue:
“il tasso annuo effettivo globale (TAEG), detto anche Indicatore sintetico di costo (ISC), esprime in percentuale il costo effettivo di un finanziamento o di altra operazione bancaria di concessione di una linea di credito. […]
Nel caso in esame, la differenza tra il TAEG dichiarato in sede di stipula del contratto di mutuo e TAEG effettivamente applicato dalla banca è determinata dal non aver ricompreso nel calcolo le spese per le polizze assicurative a garanzia di eventi infausti non derivanti dal debitore.
Come specificato dal CTU economico-contabile, infatti, per il mutuo fondiario oggetto di causa è stato determinato un tasso effettivo esercitato concretamente dall’istituto di credito pari a 6,56%.
Tale valore risulta difforme rispetto all’I.S.C./ T.A.E.G. convenuto tra le parti e pari al 6,03%.
Ci si trova, dunque, nella fattispecie descritta dall’art. 125 bis TUB che al comma 7 prevede un meccanismo di sostituzione della clausola nulla determinativa del TAEG con il tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto.
Il giudicante concorda infatti con l’orientamento arbitrale secondo cui “le polizze assicurative qualora assumano carattere di copertura del credito concesso dall’intermediario al cliente, devono essere aggiunte nella determinazione dell’Indicatore Sintetico di Costo. Le conseguenze della mancata inclusione nel calcolo del TAEG delle polizze assicurative consistono nella dichiarazione della nullità rispetto alla singola clausola e nella rideterminazione degli interessi ai tassi minimi dei BOT, così come statuito dal TUB.” (ex multis ABF Milano – Decisione del 13 dicembre 2018, Est. Gr.). Il principio (seppur con riferimento alla nozione di TEG) è stato di recente affermato anche dalla Suprema Corte (Cassazione civile, sez. I, ordinanza 16/04/2018 n. 9298Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 01/02/2018) 16/04/2018, n. 9298), con argomentazioni estensibili al TAEG.
Conseguentemente il CTU, in conformità al quesito posto in corso di causa ad integrazione della consulenza tecnica, ha provveduto a ridefinire il rapporto dare/avere tra le parti predisponendo un piano di ammortamento in regime di capitalizzazione semplice applicando il tasso nominale minimo del BOT annuali emessi nei dodici mesi precedenti alla sottoscrizione del mutuo.
Pertanto, applicando tale regime (meglio descritto in CTU) si giunge a riconoscere un credito residuo a favore dell’Istituto di Credito convenuto pari ad euro 80.145,43.
Conseguentemente, così come più volte osservato dalla Corte di Cassazione, “L’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero ma ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito” (Cass. 27032/2014; conf. Cass. n. 5515/2008 e n. 2938/1992). Pertanto, l’intimazione formulata nell’atto di precetto rimane dunque valida per la sola somma effettivamente dovuta per come rideterminata dal giudice, dovendo invece considerarsi non dovute le somme eccedenti gli euro 80.145,43”.
Il giudicato del Tribunale: sulla nullità parziale del contratto di mutuo, ex art.1419 comma 2 c.c. e 1815 comma 2 c.c. per superamento del tasso soglia
Gli opponenti, altresì, come accennato nel paragrafo introduttivo, hanno lamentano un superamento del tasso soglia, deducendo che da ciò scaturirebbe la nullità parziale del contratto di mutuo e la sua rideterminazione come contratto gratuito.
Il tribunale, al riguardo, ha argomentato come segue:
“Al fine di provare l’usurarietà del tasso soglia parte opponente deposita CTP che sottolinea come la convenzione del tasso di interesse sottoscritta tra le parti in data 19.12.2007 sia affetta da usurarietà originaria essendo il tasso di interesse di mora effettivo pari a 10,007% e quindi superiore al tasso soglia pari a 9,09.
Per delibare la deduzione attorea occorre ripercorrere, seppur brevemente, l’annosa questione della sommatoria degli interessi corrispettivi e moratori.
Ebbene, deve certamente aversi riguardo nella indagine de qua al c.d. T.A.E.G., nel cui computo devono considerarsi gli interessi corrispettivi, gli interessi di mora e i costi accessori, ovvero tutte le spese direttamente connesse al finanziamento (commissioni, le spese e oneri collegati alla erogazione del credito), escluse imposte e tasse.
La giurisprudenza di legittimità a cui si aderisce, per quanto includa gli interessi moratori all’interno dei costi del credito, esclude che si debba procedere ad una sommatoria tra interessi corrispettivi e moratori ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, trattandosi di due tassi distinti e alternativi tra loro (cfr. Cass. n. 17447/2019). Gli interessi convenzionali di mora si calcolano, infatti, sulla rata scaduta e non sul capitale residuo, come quelli corrispettivi, e pertanto non possono essere sommati a quest’ultimi perché riferiti ad una base di calcolo diversa.
Il T.A.E.G. viene, quindi, elaborato tenendo conto di tutti gli oneri connessi al rapporto contrattuale, ovvero di interessi corrispettivi, moratori, anatocistici, nonché di tutte le commissioni, spese e provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedano una remunerazione a favore del mutuante, escluse soltanto quelle per imposte e tasse (sulla ricomprensione degli interessi moratori all’interno del T.A.E.G., Cass. n. 350/2013).
Sul tema del computo degli interessi moratori, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di rilevare che “nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi, pertanto, non si possono tra di loro cumulare.” (Cass. n. 26286/2019).
Per quanto riguarda le conseguenze della riscontrata usurarietà del tasso di interessi, si aderisce a quell’orientamento giurisprudenziale, basato sul tenore letterale dell’art. 1815, co. 2, c.c., secondo cui il debitore non è più tenuto al pagamento della quota dovuta a titolo di interessi, ma solo della sorte capitale residua. La disposizione di cui all’art. 1815,2 co, c.c., in virtù della quale “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” viene, infatti, interpretata dalla giurisprudenza di legittimità come norma avente contenuto sanzionatorio, in quanto volta a contrastare la sproporzione oggettiva tra le prestazioni con la conversione del mutuo da oneroso a gratuito.
Secondo tale concezione, quindi, in caso di usurarietà del tasso applicato al finanziamento, il mutuatario è tenuto a restituire la sola sorte capitale, al netto degli interessi. La conversione del mutuo fa sorgere in capo al mutuatario il diritto alla ripetizione degli interessi indebitamente versati, in quanto usurari.
Pertanto, l’esatto importo di dare-avere tra le parti viene calcolato detraendo dalla somma dovuta a titolo di sorte capitale, per le rate ancora a scadere, l’importo versato a titolo di interessi.
Acclarata la diversa natura tra interessi corrispettivi e interessi moratori, la loro non cumulabilità e la soggezione degli interessi moratori alla normativa antiusura (al pari degli interessi corrispettivi) e ribadito che il legislatore, all’art. 1815,2 co., c.c., ha voluto sanzionare la pattuizione di interessi sopra soglia, si deve ritenere che, in presenza di interessi moratori usurari, si configura una ipotesi di c.d. usura oggettiva, per effetto della quale il mutuo da oneroso si converte in gratuito (c.d. principio della gratuità del mutuo).
Più di recente le SS.UU. civili della Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 19597/2020, nel risolvere il contrasto giurisprudenziale sulla applicabilità o meno della disciplina antiusura agli interessi di mora, hanno affermato che “La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso”; nella stessa pronuncia le SS.UU. hanno pure chiarito, in caso di accertata usurarietà del tasso di mora, che “Si applica l’art. 1815 c.c., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 c.c., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti”.
Sempre in materia di interessi moratori, si ritiene che la verifica sul tasso di mora debba esclusivamente essere ricondotta alla pattuizione contrattuale.
Come si evince chiaramente dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cassazione n. 44143/12, nn. 350, 602 e 603 del 2013), e prima ancora dalla legge n. 24/01 di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., dalla Corte Cost. 29/02 e, da ultimo, dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 24675/17, la natura ‘eventuale’ della mora non induce alcuna traslazione dell’usura alla sopravvenuta insolvenza. Il giudizio di usurarietà rimane assorbito esclusivamente nella sproporzione pattizia fra l’impegno del creditore e quello del debitore previsto nelle condizioni iniziali che accompagnano l’erogazione del credito: il tasso di mora ha un peso e una misura che concorrono all’equilibrio del contratto”.
Il giudicato del Tribunale: sulla presunta illegittimità del piano di ammortamento alla francese e sulla violazione del divieto di anatocismo ai sensi dell’art. 1283 c.c.
Il Tribunale ha altresì escluso il paventato fenomeno anatocistico nel piano di ammortamento cd. “alla francese”.
Ed infatti, è stato ritenuto che “il cd. piano di ammortamento c.d. “alla francese”, come valuta la giurisprudenza più recente di merito che si condivide, non determini alcuna violazione del dettato di cui all’art.1283 c.c. e quindi alcuna pratica illegittima di anatocismo (cfr. Appello Milano 30.10.2013; più di recente Tribunale Padova 12.01.2016 secondo cui “Nel contratto di mutuo che preveda un piano di ammortamento cd. alla francese non è individuabile alcun effetto anatocistico, in quanto non si deve confondere il fatto che il metodo di calcolo è quello dell’interesse composto, nel senso che la rata è composta da quota capitale e quota interessi, con il fatto che il calcolo sia composto nel senso che gli interessi si calcolano sugli interessi“- ed ancora Tribunale di Milano 9.11.2017 secondo cui “Non sussiste ”anatocismo congenito” nel contratto di mutuo con piano di ammortamento alla francese, in quanto tale formula matematico-finanziaria “è coerente con il dettato dell’art.1194, comma 2 c.c.” perché la rata rimane costante, ma la quota di interessi, calcolata sul capitale residuo da rimborsare, diminuisce, mentre aumenta la quota capitale presente in ciascuna rata”)”.
Tale tipologia di piano di ammortamento, a mente di quanto statuito dal Tribunale adito, prevede che il debitore rimborsi, per tutta la durata dell’ammortamento, una rata costante tale che al termine del periodo stabilito il debito sia completamente estinto (sia per quanto concerne la quota capitale, che per quella di interessi).
Ogni rata costante, invero, si compone di:
- una quota interessi (la quota di interessi rappresenta il costo per l’uso del denaro);
- una quota capitale (la quale, a sua volta, rappresenta la somma destinata al rimborso del capitale preso in prestito).
Il metodo “alla francese” – prosegue il Tribunale nella sentenza in commento – “comporta infatti che gli interessi vengano comunque calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata e non anche sugli interessi pregressi. In altri termini, nel sistema progressivo ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti (ed unicamente degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce. Ciò non comporta tuttavia capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti (cosi anche Tribunale Pescara, 18.10.2017)”.
Abbiamo parlato di anatocismo bancario, illustrandone le relative peculiarità, anche in questo articolo (clicca qui), di cui ti consigliamo la lettura per raggiungere un maggior livello di accuratezza e completezza conoscitiva della materia.
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