Commento alla recente ed importante Sentenza n. 8167/2022 del Consiglio di Stato, con la quale è stata confermata la legittimità dell’Autorizzazione Unica rilasciata dalla Regione (confermata successivamente anche dal Consiglio dei Ministri), avverso la quale il Ministero della Cultura aveva espresso diniego ed apposto un vincolo indiretto per impedire l’installazione di due pale eoliche al fine di tutelare il paesaggio circostante ad alcune croci votive.
di Avv. Manuel Costa
Indice
La vicenda: l’istanza di Autorizzazione Unica ex art. 12, d.lgs. n. 387/2003 per l’installazione di un impianto eolico.
La società Alfa presentava all’Autorità Regionale due separate istanze di Autorizzazione Unica ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, aventi ad oggetto la realizzazione di due distinte pale eoliche site in due località appartenenti al medesimo Comune.
Con riferimento al progetto di cui alla prima pala eolica, il Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Regione esprimeva, in sede di conferenza di servizi, parere negativo alla relativa realizzazione “a causa di interferenze visive della stessa con la presenza di beni culturali” quali un Castello, il Centro storico del paese, due boschi e, in particolar modo, “una croce votiva posta in area limitrofa, asserendo che l’interferenza visiva avrebbe potuto essere superata solo riducendo l’altezza della pala a 25 metri”.
Ciononostante, in conferenza di servizi, la Regione, avendo rilevato che le prescrizioni impartite dalla Soprintendenza avrebbero compromesso la fattibilità tecnica ed economica dell’opera (in quanto la pala, se ridotta di altezza come richiesto dalla Soprintendenza, sarebbe risultata improduttiva per assenza di vento), rilasciava in favore della Società Alfa l’Autorizzazione Unica richiesta.
Tuttavia, dopo il rilascio dell’Autorizzazione Unica, la Soprintendenza comunicava l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante (ex art. 13 del d.lgs. n. 42/2004 – i.e. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) di un sistema di croci votive e viarie site lungo il crinale di confine fra le due località in cui sarebbero sorte le pale eoliche.
Interesse culturale, quest’ultimo, successivamente dichiarato dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 3, lettera a), e 13 del d.lgs. n. 42/2004.
Il medesimo procedimento è avvenuto per quanto concerne la seconda pala eolica.
Dapprima, il Soprintendente rilevava l’interferenza “visiva” dell’impianto e suggeriva una necessaria “riduzione significativa dell’altezza complessiva dell’impianto ovvero l’adozione di una tipologia ad asse verticale della pala”.
La Regione, successivamente, rilasciava l’Autorizzazione Unica richiesta dalla Società e, in virtù di una variante progettuale richiesta dalla Soprintendenza, convocava all’esito della quale autorizzava il nuovo progetto inclusivo di tale variante progettuale.
Ulteriormente, a seguito del dissenso espresso dalla medesima Soprintendenza, si pronunciava anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri che approvava definitivamente l’intervento rappresentando, all’interno della propria delibera, come “dalla comparazione degli interessi coinvolti nel procedimento in esame, individuati nella tutela paesaggistica, da riferirsi ad area contermine e nello sviluppo della produzione dienergia da fonte rinnovabile, nella valenza imprenditoriale ed economica dell’opera in argomento, di considerare prevalente l’interesse all’incremento delle fonti di energia rinnovabili e alla realizzazione dell’opera di che trattasi, condividendo le posizioni favorevoli all’impianto eolico in questione espresse dagli Enti coinvolti in conferenza di servizi e facendo proprie le relative motivazioni …”.
Anche in tale seconda circostanza, come nella precedente, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dichiarava di interesse culturale il sistema delle croci votive e viarie sopra cennato.
Di talché, il Comune e la Società Alfa impugnavano i due summenzionati decreti della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici – con i quali era stato dichiarato di interesse culturale il sistema delle croci votive e viarie insistente presso i confini comunali) deducendo, sostanzialmente, tra gli altri, i) la violazione dei d.lgs. n. 387/2003 e d.lgs. n. 42/2004 (per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e del difetto dei presupposti, oltre che per la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza), nonché ii) l’assoluto difetto di motivazione in violazione dell’art. 3 della L. 241/90, dell’art. 12 del d.lgs. n. 42/2004 e la violazione della nota della Direzione Generale del Ministero dei Beni Culturali prot. n. 5085 del 3 marzo 2009.
In primo grado, il TAR ha accolto nel merito il succitato motivo di ricorso avente ad oggetto i vizi di difetto di istruttoria e motivazione dei provvedimenti impugnati, sostenendo che “il giudizio emesso dall’Amministrazione, nella specie, per la dichiarazione di particolare interesse culturale dei due complessi di croci viarie di cui si tratta si presenta seriamente lacunoso sia sotto il profilo del difetto di istruttoria, sia sotto quello della carenza di motivazione, in quanto dall’esame della documentazione alla luce delle doglianze dei ricorrenti emerge un evidente difetto di logicità, coerenza e completezza della complessiva valutazione compiuta dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali. Nei provvedimenti impugnati, infatti, in difformità dal modello previsto dall’Amministrazione centrale, e segnatamente dai precisi oneri istruttori e motivazionali appena visti, né la Direzione Regionale per i Beni Culturali – nei provvedimenti impugnati – né la Soprintendenza – nella relazione storico-artistica del 26 agosto 2014 – hanno indicato, con la specificità richiesta e la necessaria valutazione critica finale, la letteratura di riferimento e gli studi storico – artistici esistenti sull’interesse storico-culturale del c.d. sistema di croci viarie. […] la relazione storico-artistica su cui poggiano i provvedimenti impugnati si è limitata, nella ricostruzione del contesto storico-culturale nell’ambito del quale si collocherebbero i beni culturali in questione, a citare solo con una sorta di postilla in calce, e pertanto del tutto sbrigativamente, la letteratura reputata rilevante. È evidente, quindi, come nei decreti impugnati non risultino essere state condotte con la necessaria profondità e accuratezza le valutazioni specifiche prescritte dallo stesso Ministero nella nota n. 5085 del 3 marzo 2009 in ordine alla ricostruzione dell’interesse storico-culturale oggetto di tutela. In particolare, è stato omesso l’ineludibile passaggio volto all’inquadramento del bene da tutelare nell’ambito del contesto storico mediante il preciso richiamo a contributi specialistici e studi capaci di dare obbiettiva e verificabile sostanza alle valutazioni proprie dell’Amministrazione. In mancanza di queste basi, i provvedimenti in esame si limitano ad affermare una rilevanza storico- artistica del complesso di manufatti in questione senza tuttavia esplicitare né gli elementi dai quali desumerne il valore culturale, in coerenza con la pertinente letteratura, né l’effettiva e qualificata rilevanza che i manufatti avrebbero in concreto assunto nella comunità di riferimento […]”.
Avverso la predetta sentenza di annullamento, formulata in primo grado dal TAR, ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato il Ministero della Cultura e, in via incidentale, la ricorrente Alfa per i motivi di ricorso non accolti in primo grado, fra cui quello avente ad oggetto lo sviamento della funzione pubblica e la sproporzione delle prescrizioni impartite dalla Soprintendenza.
Le motivazioni di diritto rese dal Consiglio di Stato
Preliminarmente, con riferimento all’appello formulato dal Ministero della Cultura, in tema di discrezionalità riservata all’Amministrazione per la conduzione della valutazione tecnica propedeutica all’apposizione del vincolo paesaggistico, il Collegio ha sostenuto che “a differenza delle scelte politico-amministrative (cd. «discrezionalità amministrativa») – dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla ragionevole ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme – le valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (cd. «discrezionalità tecnica») vanno vagliate al lume del diverso e più severo parametro di attendibilità tecnico-scientifica”.
Di talché, in difetto di parametri normativi che possano fungere aprioristicamente da premessa del ragionamento sillogistico, “il giudice non «deduce» ma «valuta» se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto”.
Dunque – continua il Collegio – se da una parte è data la possibilità all’interessato di contestare il nucleo dell’apprezzamento complesso, dall’altro egli ha l’onere di metterne in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica, adducendo i relativi elementi di convincimento a sostegno di tale tesi.
Pertanto, “se tale onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato”.
In virtù di tale ragionamento, dunque, l’appello principale formulato dal Ministero è stato ritenuto fondato, in quanto:
- la dichiarazione dell’interesse culturale accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, così come disposto dagli artt. 10, comma 3, lett. a), e 13 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio;
- la nozione di bene culturale è un concetto giuridico indeterminato, per la cui definizione l’ordinamento giuridico fornisce solo generalissimi criteri: viene stabilito che bene culturale deve essere una testimonianza materiale avente valore di civiltà, rivestire un particolare o eccezionale interesse culturale tale da giustificare il vincolo ed avere una certa vetustà;
- infine, il potere ministeriale di vincolo richiede, quale presupposto, una valutazione basata non sulle acquisizioni delle scienze esatte, bensì su riflessioni di natura storica e filosofica, spesso strettamente legate al contesto territoriale di riferimento, per loro stessa natura in continua evoluzione. L’esigenza di oggettività e uniformità di valutazione dei tecnici del settore (storici dell’arte, antropologi, architetti, urbanisti al servizio della pubblica amministrazione) non può non risentire del predetto limite epistemologico;
- gli indicatori di cui alla nota ministeriale n. 5085 del 3 marzo 2009 – concernenti la ricostruzione dell’interesse storico/culturale oggetto di tutela – devono ritenersi esemplificativi e non certo tassativi o cumulativi.
*
Altresì, con specifico riferimento all’appello incidentale formulato dalla Società Alfa (la quale ha riproposto il motivo di ricorso respinto in primo grado nella sentenza appellata, concernente lo sviamento della funzione pubblica e la sproporzione delle prescrizioni di tutela indiretta involgenti le aree circostanti i beni oggetto di vincolo indiretto), si rappresenta come il Consiglio di Stato abbia accolto le doglianze da essa dedotte in giudizio.
Invero, i decreti impugnati dalla Società, tramite i quali è stato istituito il vincolo/tutela indiretta delle aree circostanti i beni (i.e. le croci) in oggetto, menzionavano le seguenti prescrizioni:
- divieto di trasformare, sia temporaneamente che permanentemente, l’aspetto esteriore dei luoghi ricompresi nell’ambito del vincolo indiretto;
- mantenimento dell’uso agricolo attuale del suolo per i medesimi luoghi oggetto di vincolo indiretto;
- divieto, nei medesimi luoghi, di apertura di cave, posa in opera di condotte per impianti industriali e civili, realizzazione di palificazioni.
Tali vincoli, sono stati motivati dall’Amministrazione “in funzione dell’esigenza di evitare che siano alterate le condizioni di contesto ambientale e di decoro, nonché di prospettiva e visuale, delle croci votive e viarie sottoposte a tutela, oltre che di scongiurare rischi all’integrità di ciascuno dei manufatti”.
Motivazioni, queste, ritenute evidentemente inadeguate dal Collegio giudicante.
A mente del Supremo Consesso amministrativo, le prescrizioni di tutela indiretta previste dall’art. 45 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, hanno la funzione di completamento pertinenziale della visione della fruizione dell’immobile principale gravato dal vincolo “diretto”, al fine di scongiurare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, che ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o che ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro.
Tuttavia, “tale tipologia di vincolo, integrando un limite apposto al diritto di proprietà sulla base di apprezzamenti rimessi all’autorità amministrativa competente, deve essere dimensionato alla luce dei principi di seguito esposti”.
Così come per i diritti – afferma il Collegio – anche per gli interessi di rango costituzionale non è garantita, a nessuno di essi, una prevalenza assoluta sugli altri.
Invero, la loro tutela deve essere “sistemica” e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca.
Conseguentemente, “la primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione totalizzante come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto”.
Nel caso di specie, “il principio di proporzionalità appare violato, non nella componente della idoneità (al raggiungimento dell’obiettivo prefissato) o della necessarietà (ravvisabile quando non sia disponibile nessun altro mezzo egualmente efficace, ma meno incidente nella sfera giuridica del destinatario), bensì della proporzionalità in senso stretto”.
Una misura adottata dai pubblici poteri, invero, non deve mai essere tale – secondo il Collegio – da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile.
Dunque, se si paragona l’obiettivo perseguito dalla Soprintendenza (ovverosia la tutela delle croci votive) ed il mezzo utilizzato (lo svuotamento delle possibilità d’uso alternativo del territorio, specialmente ai fini della produzione di energia eolica) “appare evidente quanto sia sbilanciata la ponderazione effettuata”.
Ed infatti, “l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone”.
Ulteriormente, si legge in Sentenza, gli atti impugnati risultano violativi del principio di integrazione delle tutele (così come riconosciuto sia a livello europeo dall’art. 11 del TFUE, sia nazionale dall’art. 3-quater del d.lgs. n. 152 del 2006), in virtù del quale le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.
Invero, “le prescrizioni di tutela indiretta apposte dall’Amministrazione dei beni culturali costituiscono un metodo, non solo incongruo (in quanto operata al di fuori della delicata operazione di valutazione e comparazione degli interessi), ma anche surrettizio – in tal senso è ravvisabile lo sviamento della funzione – per disapplicare gli esiti della conferenza di servizi cui aveva preso parte la stessa Soprintendenza … a danno dei soggetti che avevano già conseguito le autorizzazioni uniche da parte della Regione per la realizzazione degli impianti eolici”.
I principi affermati nella Sentenza
- Il giudice non “deduce” ma “valuta” se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto. Di conseguenza, il potere ministeriale di vincolo richiede, quale presupposto, una valutazione basata non sulle acquisizioni delle scienze esatte, bensì su riflessioni di natura storica e filosofica, spesso strettamente legate al contesto territoriale di riferimento, per loro stessa natura in continua evoluzione;
- il vincolo indiretto di cui al Codice dei beni Culturali e Paesaggistici, integrando un limite apposto al diritto di proprietà sulla base di apprezzamenti rimessi all’autorità amministrativa competente, deve essere dimensionato e proporzionato e non totalizzante o sbilanciato così tanto da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto;
- per ciascun interesse di rango costituzionale non è garantita una prevalenza assoluta sugli altri. La loro tutela, invero, deve essere “sistemica” e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca;
- l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone.
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