Risarcimento del danno da parte della Pubblica Amministrazione per violazione del termine previsto per la conclusione del procedimento di Autorizzazione Unica: sentenza del TAR Catania

Il TAR della Sicilia, Catania, con la Sentenza n. 209 del 25 gennaio 2023, ha accolto il ricorso presentato da una Società attiva nel settore delle energie rinnovabili, volto all’ottenimento del risarcimento del danno derivante dall’inosservanza, da parte della Pubblica Amministrazione, del termine disposto dalla legge per la conclusione del procedimento finalizzato al rilascio dell’Autorizzazione Unica, necessaria per l’installazione di un impianto fotovoltaico (pari a 180 giorni, come previsto dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003).

di Avv. Manuel Costa

La vicenda fattuale


La vicenda verte intorno alla richiesta di risarcimento dei danni presentato dalla Società “Alfa” (nome di fantasia), attiva nel settore delle energie rinnovabili, fondata sul presupposto di aver subito una lesione della propria sfera di diritto in ragione dell’inosservanza del termine di 180 giorni fissato per la conclusione del procedimento di rilascio dell’Autorizzazione Unica, ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003.

Tale procedimento, invero, ha trovato avviamento in data 24 marzo 2010, tramite la presentazione dell’istanza da parte della Società “volta ad ottenere l’autorizzazione unica prevista dall’art. 12, d.lgs. n. 397/2003 per la realizzazione e l’esercizio di un impianto fotovoltaico, di potenza complessiva pari a 930,00 kWp”.

Senonché, trascorso il succitato termine di 180 giorni senza che fosse pervenuto alcun riscontro al riguardo (i.e. il provvedimento conclusivo del procedimento) né, addirittura, che fosse convocata la prima conferenza di servizi, la Società procedeva nei seguenti termini:

(i) dapprima, attraverso l’intimazione – nei confronti dell’Amministrazione all’uopo preposta –  a voler provvedere nell’avviamento e nell’istruzione del procedimento in parola, ai fini dell’emanazione di una determinazione conclusiva dello stesso;

(ii) successivamente, attraverso la proposizione proponeva di apposito ricorso “avverso il silenzio” (ex artt. 31 e 117 c.p.a.), deciso con sentenza nel novembre 2011, che dichiarava illegittimo il silenzio serbato dall’Amministrazione resistente e statuiva l’obbligo della stessa di provvedere entro i successivi 60 giorni;

(iii) di talché, a fronte della perdurante inerzia manifestata dalla medesima Amministrazione, la società inoltrava nuova diffida rimasta, anch’essa, inevasa.

Senonché, nelle more dello sviluppo fattuale di cui sopra, intervenivano importati novità legislative in tema di incentivazione riservata all’istallazione e all’esercizio di impianti fotovoltaici “di nuova autorizzazione”.

In particolare, da una parte l’art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 28/2011 poneva alcune condizioni tecniche restrittive per gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole (come quelli progettati dalla società ricorrente) ai fini dell’accesso al regime incentivante; dall’altra parte, altresì, l’art. 65, D.L. n. 1/2012 (convertito con modificazioni, dalla legge n. 27/2012) aveva previsto l’esclusione definitiva di tali impianti dal regime di incentivazione, con decorrenza dal 25.5.2012, ad eccezione di quelli che avessero conseguito “il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro la medesima data, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Pertanto, con il ricorso in parola, la Società a chiesto il risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, così come segue: “a titolo di danno emergente, delle spese occorse per il mantenimento della struttura organizzativa deputata alla realizzazione del progetto, delle spese di assistenza e consulenza legale affrontate per ottenere la condanna dell’Amministrazione procedente a provvedere sull’istanza de qua, dei costi relativi alla progettazione, all’istruzione del progetto, oltre al rimborso del 10% del costo del terreno acquistato per la realizzazione degli impianti; a titolo di lucro cessante, la condanna al pagamento di una somma, da valutarsi in via equitativa, avendo quale parametro di riferimento la tariffa incentivante che sarebbe spettata alla società in caso di tempestiva autorizzazione dell’impianto.

Si segnala, come in corso di causa venisse convocata la prima e unica conferenza di servizi inerente l’istanza di autorizzazione presentata dalla Società cui faceva seguito, dopo pochi mesi, il rilascio del provvedimento di Autorizzazione Unica per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto in oggetto.

Tuttavia, la Società, per il tramite di apposito ricorso per motivi aggiunti (affidato ad un unico motivo di diritto: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, l. n. 241/1990 e s.m.i. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 4, d.lgs. n. 387/2003 e s.m.i. – Sussistenza dei presupposti per il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 104/2010”), ribadiva le richieste risarcitorie già avanzate con il ricorso introduttivo poiché dal colpevole ritardo serbato dall’Amministrazione ne è scaturita l’effettiva impossibilità di accesso al regime incentivante per l’impianto fotovoltaico in oggetto.


Il giudicato del TAR


Il Collegio, innanzitutto, rileva come ai fini della configurazione della cd. responsabilità da ritardo (ex artt. 2 bis comma 1 ter della l. 241/1990 e 30, comma 4 del codice del processo amministrativo) non sia da sola sufficiente la sussistenza della mera violazione del termine di conclusione del procedimento (danno da mero ritardo), risultando necessario e imprescindibile finanche l’accertamento della spettanza del bene della vita.

Il Collegio, al riguardo, ha richiamato un costante orientamento del Consiglio di Stato, secondo il quale “il risarcimento del danno per il silenzio serbato dall’Amministrazione su un’istanza del privato….equivale al risarcimento di un danno per ritardo nel provvedere e come tale […] non può essere accordato se non viene dimostrata la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero se non si dimostra che, con ragionevole probabilità, l’Amministrazione avrebbe dovuto accogliere l’istanza del privato, sulla quale non ha provveduto, e accordargli così il bene della vita con essa richiesto” (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5033/2021)”.

Ed ancora, afferma il Collegio, “il risarcimento non è dunque un effetto automatico del ritardo; e, peraltro, ricollegandosi tale responsabilità al paradigma della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., impone la rigorosa applicazione sia del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della domanda, sia del principio dispositivo di cui art. 2697 comma 1, c.c., non temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (cfr. T.A.R. Roma, sez. V, n. 7168/2022)”.

Altresì, circa l’onere della prova, viene richiamato il giudicato reso dal Consiglio di Stato, Sez. II, con la Sentenza n. 106/2022, a mente della quale “il risarcimento del danno da ritardo o inerzia della P.A. nella conclusione del procedimento postula, ai sensi del comma 1 dell’art. 2-bis cit., che la condotta inerte o tardiva della P.A. sia stata causa di un danno prodottosi nella sfera giuridica del privato il quale, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento stesso; il danno, del quale il privato deve fornire la prova sia nell’an che nel quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento da parte della P.A., sempreché non si versi in un’ipotesi di cd. silenzio significativo; l’ingiustizia e la stessa sussistenza del danno non possono presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, dovendo l’attore dare la prova, ex art. 2697 c.c., di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in specie, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante): in definitiva, benché l’art. 2- bis, l. n. 241 del 1990 rafforzi la tutela risarcitoria del privato nei confronti della P.A., la domanda va comunque ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità” (cfr., in termini, sez. IV, n. 5033/2021 e T.A.R. Milano, sez. II, n. 359/2022)”.

Dunque, ad avviso del Collegio giudicante, nella fattispecie in esame non v’è dubbio che ricorrano tutti i presupposti per la configurabilità della responsabilità aquiliana, ovverosia:

– l’esistenza dell’elemento oggettivo (i.e. il verificarsi del fatto illecito);

– l’imputabilità del fatto illecito in capo all’Amministrazione;

– la spettanza del “bene della vita” alla Società.

Infine, in ordine alla quantificazione dei danni patiti dalla Società in virtù dell’inerzia dell’Amministrazione, il Collegio ha rilevato che:

sotto il profilo dell’an, la domanda risarcitoria va accolta in quanto fornita di tutti i presupposti previsti dall’art. 2043 c.c. Invero, il nesso di causalità tra la ritardata conclusione del procedimento ex art. 12, d.lgs. n. 283/2003 e il mancato accesso agli incentivi previsti dalla legge per l’impianto fotovoltaico in oggetto, risulta provato per tabulas. Pertanto, non v’è dubbio che la mancata conclusione del procedimento nei termini prescritti dalla legge abbia impedito alla Società non solo di ottenere il provvedimento autorizzativo, ma anche la possibilità di accedere al meccanismo incentivante.

sotto il profilo del danno emergente, è stata accolta la richiesta presentata dalla Società di vedersi rifusa le spese sostenute per il mantenimento della struttura organizzativa deputata alla realizzazione del progetto, quelle di assistenza e consulenza legale sopportate per ottenere la condanna dell’Amministrazione, i costi relativi alla progettazione, all’istruzione del progetto e infine, al rimborso del 10% del costo del terreno acquistato per la realizzazione degli impianti, in quanto tutte comprovate dagli atti di causa.

da ultimo, quanto al lucro cessante, è stata esclusa la possibilità di parametrazione tout court di esse all’entità degli incentivi non percepiti, richiamando quanto esposto dall’Adunanza plenaria n.7 del 23 aprile 2021 la quale, con riferimento alla valutazione del lucro cessante collegato al mancato accesso agli incentivi, ha posto l’attenzione sul relativo periodo temporale di riferimento, a seconda che si collochi a monte o a valle della sopravvenienza normativa:

  • con riferimento al periodo antecedente all’entrata in vigore della norma, l’Adunanza ha ritenuto astrattamente ravvisabile il nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento autorizzativo e il mancato accesso agli incentivi connessi, “fermo restando che il concreto accesso ai benefici stessi sarebbe stato comunque rimesso alla positiva conclusione di un diverso procedimento gestito da una diversa Amministrazione”;
  • al contrario, con riferimento al periodo successivo all’entrata in vigore della norma, l’Adunanza ha ravvisato “la necessità di stabilire se le erogazioni sarebbero comunque cessate per la sopravvenuta abrogazione della norma oppure se l’interessato avrebbe avuto comunque diritto a mantenere il regime agevolativo”.

Pertanto, il Collegio ha escluso la possibilità di parametrare l’entità dei danni sic et simpliciter agli utili che l’impresa avrebbe conseguito ove avesse svolto l’attività “nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’Amministrazione” e, dunque, ha statuito che il risarcimento sia liquidato secondo i criteri di determinazione del danno da perdita di chance, anche con ricorso alla valutazione equitativa, stabilendo che “dovrà procedersi alla quantificazione di tale voce di danno in contraddittorio fra le parti, al fine di pervenire a una proposta di liquidazione”.


I principi affermati in Sentenza


Il TAR ha riconosciuto la sussistenza del nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento ex art. 12, d.lgs. n. 283/2003 e il mancato accesso al meccanismo incentivante previsto dal legislatore per l’impianto fotovoltaico oggetto di autorizzazione. Al riguardo, è stato affermato come risultasse provato per tabulas che dalla mancata conclusione del procedimento nei termini ex lege prescritti, ne sia conseguita l’impossibilità per la Società ricorrente sia di ottenere il provvedimento autorizzativo del proprio impianto, che la possibilità di accedere al meccanismo di incentivazione ratione temporis vigente.

Pertanto, il TAR ha accertato la sussistenza di tutti i presupposti della responsabilità aquiliana dell’Amministrazione, così come prescritti dall’art. 2043 c.c., ed ha accolto la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla Società ricorrente.

Di conseguenza, l’Amministrazione è stata condannata a versare alla Società ricorrente sia una somma a titolo di danno emergente (accogliendo le voci di spesa formulate dalla ricorrente e puntualmente documentate agli atti), sia una somma a titolo di lucro cessante (i.e. perdita di chance), la cui quantificazione è stata rimessa al contraddittorio fra le parti.


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