Il Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 2757 del 16 marzo 2023, ha avuto modo di esprimere importanti principi di natura procedimentale in ordine alla decadenza dal titolo abilitativo (edilizio), sancendo che essa deve sempre avvenire attraverso l’adozione di un provvedimento espresso da parte della pubblica amministrazione procedente. Inoltre, ha avuto modo di declinare i presupposti giuridici in virtù dei quali non si verifica la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in tema di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo ai fini dell’integrazione del contraddittorio.
di Avv. Manuel Costa
La vicenda fattuale
La vicenda origina dall’emissione di un provvedimento (nel maggio 2009), da parte dell’ufficio tecnico comunale, di annullamento della proroga (accordata nel 2008) di una concessione edilizia rilasciata il 28 dicembre 2001.
Più nel dettaglio, tale concessione edilizia era stata rilasciata dall’amministrazione comunale il 28 dicembre 2001 – al privato soggetto concessionario – per la costruzione di due depositi agricoli. All’interno di essa, per quanto di interesse, erano stati indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori (i.e. un anno per l’inizio dei lavori e tre anni per la relativa ultimazione).
Il successivo 20 maggio 2005, il privato richiedeva all’amministrazione comunale la proroga del termine di ultimazione dei lavori.
Proroga, quest’ultima, accordata dall’ufficio tecnico comunale il 30 ottobre 2008, per un ulteriore anno a partire dal rilascio della medesima.
Sennonché, in data 3 marzo 2009 i Carabinieri locali effettuavano un sopralluogo dal quale emergeva, fra le altre cose, la totale mancanza di avvio dei lavori presupposti al rilascio della concessione edilizia in parola e, per l’effetto, il successivo 25 maggio 2009, veniva notificato al privato concessionario il provvedimento di annullamento d’ufficio del precedente atto di proroga della concessione edilizia.
Pertanto, avverso tale provvedimento, il concessionario proponeva ricorso dinanzi al TAR del Lazio il quale, con sentenza emessa nel novembre 2015, respingeva le relative doglianze. Con successivo ricorso in appello, dunque, l’originaria ricorrente richiedeva la riforma della sentenza impugnata.
Il giudicato del Consiglio di Stato
Principalmente, il collegio giudicante ha rilevato come “l’atto impugnato […] deve essere qualificato – tenuto conto del contenuto del potere in concreto esercitato dal comune – come decadenza del titolo edilizio, ai sensi dell’art. 15 t.u. edilizia, nonché quale esercizio del potere di autotutela sulla pregressa concessione della proroga dei termini”.
Altresì, con specifico riferimento alle peculiarità del provvedimento di decadenza, il Consiglio di Stato (conformemente ai principi enunciati precedentemente in fattispecie analoghe – cfr. , sez. IV, Sent. n. 7373 del 2021; id., Sent. n. 4648 del 2021; id., sez. IV, Sent. n. 2078 del 2020; id., sez. II, Sent. n. 2206 del 2020) ha ribadito che:
“a) in conformità coi principi generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del 1990, è sempre richiesto che l’amministrazione si pronunci con provvedimenti espressi, sia pure con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge, sicché risulta necessaria l’adozione di un formale provvedimento in relazione all’esercizio del potere attribuito dall’art. 15 t.u. edilizia;
b) alla luce del tenore testuale delle norme sancite dall’art. 15, commi 2 e 2-bis, del t.u. edilizia, non può dirsi irrilevante la tardività della istanza di proroga, essendo necessario che essa venga richiesta prima della decorrenza del termine ultimo per la fine dei lavori;
c) invero, risponde ad un principio generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la richiesta di proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi; la presentazione della richiesta di proroga è infatti funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria;
d) diversamente dalla proroga dei termini – intesa quale provvedimento di secondo grado che modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario, accedendo all’originaria concessione ed operando uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia – il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, in tal modo presupponendo la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo”.
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Altresì, la pronuncia in parola risulta essere di particolare importanza in quanto, nel rilevare l’infondatezza dell’asserita violazione di cui all’art. 7 della L. 241/90 sul procedimento amministrativo, ricalca i principi di diritto affermati dalla medesima recente giurisprudenza amministrativa, a mente dei quali:
- “nei procedimenti amministrativi la partecipazione è funzionale ad una più compiuta istruttoria e alla migliore rappresentazione degli interessi privati destinati ad essere incisi, ma non si spinge sino a identificarsi con il contraddittorio, tipico del processo, in cui ogni valutazione è sottoposta all’altra parte perché la stessa possa replicare nell’esercizio del proprio diritto di difesa in vista della decisione del giudicante” (Cons. Stato, Sez. III, 30 marzo 2020, n. 2177);
- “del difetto di partecipazione può segnatamente discorrersi quando l’amministrazione da avvio ad un procedimento, per un motivo, e lo concluda per un motivo diverso in assenza di garanzie procedimentali integrative, non già quando essa, in relazione al preannunciato motivo, e sulla base di un’istruttoria trasparente, addivenga alle proprie conclusioni senza avere previamente sentito l’opinione del partecipante” (Cons. Stato., Sez. III, 30 marzo 2020, n. 2177);
- “le norme in materia di partecipazione procedimentale, non devono essere lette in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione” (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081);
- “del resto l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, secondo cui «non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato», “attraverso la dequotazione dei vizi formali dell’atto, mira a garantire una maggiore efficienza all’azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato” (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081).
I principi affermati in sentenza
Con specifico riferimento al tema di cui alla decadenza del titolo edilizio, in virtù di una tardiva presentazione dell’istanza di proroga, è stato evidenziato che:
- essendo sempre richiesto che l’amministrazione si pronunci con provvedimenti espressi (sia pure con mera valenza ricognitiva di effetti previsti dalla legge) risulta sempre necessaria l’adozione di un formale provvedimento in relazione all’esercizio del potere attribuito dall’art. 15 t.u. edilizia;
- ai sensi del dettato normativo di cui all’art. 15, commi 2 e 2-bis, del t.u. edilizia, non può dirsi irrilevante la tardività della istanza di proroga, essendo necessario che essa venga richiesta prima della decorrenza del termine ultimo fissato per la fine dei lavori. Invero, l’esigenza che questa sia richiesta prima del termine ultimo concesso per il compimento delle attività di edilizia risponde alle esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi;
- diversamente dalla proroga dei termini di ultimazione lavori, il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti previsti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del relativo rilascio.
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