Il presente contributo si propone di esaminare le recenti modifiche legislative e pronunce giurisprudenziali aventi ad oggetto il ruolo del Ministero della Cultura (MiC) e Soprintendenze competenti, nell’ambito dei procedimenti autorizzativi di impianti alimentati da fonti rinnovabili, con particolare riguardo ai profili ambientali e paesaggistici.
Le ultime novelle legislative riguardanti tali procedimenti hanno infatti ridisegnato in modo significativo la partecipazione del MiC (e Soprintendenze) negli stessi, sottolineando il carattere non vincolante del relativo parere, con particolare riguardo a procedimenti autorizzativi di impianti in “aree idonee”.
di Isabella Raso
Indice
Il ruolo del MiC nei procedimenti autorizzativi di impianti a fonti rinnovabili
La partecipazione del MIC nel procedimento unico di cui all’articolo 12, comma 3, del d.lgs. n. 387/2003, in materia di autorizzazione unica per la costruzione ed esercizio di impianti a fonti rinnovabili, è stato definito in particolare dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito dalla legge 29 luglio 2021, n. 108 (cd. Decreto semplificazioni bis).
Il Decreto semplificazioni bis ha, infatti, introdotto uno specifico comma 3-bis all’articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003, prevedendo la partecipazione diretta del MiC al procedimento unico riguardante impianti da fonti rinnovabili localizzati in aree sottoposte a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali, anche in itinere, nonché, come inizialmente previsto, siti “nelle aree contermini ai beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo”.
Con riferimento alle aree contermini a quelle paesaggisticamente vincolate, il comma 3 dell’articolo 30 del Decreto semplificazioni bis prevedeva che il MiC dovesse esprimersi nell’ambito della conferenza di servizi con parere obbligatorio non vincolante: decorso inutilmente il termine per il rilascio di tale parere, l’amministrazione competente era tenuta a provvedere comunque sulla domanda di autorizzazione.
Il riferimento della partecipazione del MiC in relazione a progetti siti nelle cd. “aree contermini ai beni sottoposti a tutela”, con la previsione dell’adozione di un parere non vincolante in materia, è stato poi da ultimo eliminato dall’articolo 47 del d.l. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito dalla legge 21 aprile 2023, n. 41 (cd. Decreto Pnrr). Tale previsione normativa ha, inoltre, precisato come il MiC partecipi al procedimento unico qualora i progetti, siti in aree sottoposte a tutela, non siano stati sottoposti alle valutazioni ambientali di cui al d.lgs. n. 152/2006 s.m.i. (Codice dell’ambiente).
L’eliminazione di ogni riferimento alle aree contermini è stata accompagnata anche dall’abrogazione, disposta sempre dal Decreto Pnrr, dell’obbligo inizialmente previsto per gli operatori di inserire tra i documenti da allegare all’istanza di valutazione di impatto ambientale (cd. Via, di cui all’articolo 23 del Codice dell’ambiente), l’atto del soprintendente relativo alla verifica preventiva di interesse archeologico (cd. Vpia), di cui all’articolo 25 d.lgs. n. 50/2016 (oggi articolo 41 del d.lgs. n. 36/2023).
Resta ferma, invece, tuttora la previsione relativa alla presentazione, tra i documenti relativi all’istanza di Via, degli “elaborati progettuali di cui all’articolo 5, comma 1, lettera g” del medesimo codice, vale a dire “il progetto di fattibilità” (come definito dall’articolo 23, commi 5 e 6 del d.lgs. n. 50/2016), redatto sulla base, tra l’altro, di verifiche preventive dell’interesse archeologico, nonché di studi di fattibilità ambientale e paesaggistica.
Al riguardo giova, altresì, richiamare le disposizioni del Decreto Pnrr, secondo cui:
- il provvedimento di autorizzazione unica (di cui all’articolo 12 comma 3 del d.lgs. n. 387/2003) comprende, ove previsti, i provvedimenti di valutazione ambientale (assoggettabilità a Via e Via) previsti dal Codice dell’ambiente;
- in ogni caso l’adozione del parere e del provvedimento di Via non è subordinata alla conclusione delle attività di Vpia o all’esecuzione dei saggi archeologici preventivi prevista dal Codice dei beni culturali (comma 2 sexies articolo 25).
Ne deriva una particolare incertezza in merito alla piena applicabilità ai progetti sottoposti a Via delle procedure di Vpia.
A riguardo, si segnala che il MiC, con nota n. 820 del 19 gennaio 2024 (nell’ambito di un procedimento relativo ad un impianto fotovoltaico), ha sostenuto la necessaria applicabilità della Vpia a tutti i progetti sottoposti a Via. Ciò in quanto, la Vpia è stata definita come “segmento procedimentale preliminare alla stessa VIA, in quanto necessaria a valutare compiutamente gli impatti significativi e negativi delle opere e dei lavori in progetto sulla componente ambientale e sul patrimonio archeologico. Di conseguenza, anche le opere di iniziativa privata assoggettabili a Via sono automaticamente assoggettate alla procedura di Vpia”.
L’applicazione della procedura di Vpia nell’ambito del procedimento di Via pare, quindi, essere comunque ritenuta dal MiC come elemento preliminare e necessario, nonostante la previsione del Decreto Pnrr, sopra riferita, secondo cui, il provvedimento di Via non è subordinato alla conclusione delle attività di Vpia.
A completare il quadro normativo generale, si aggiunga che il MiC (tramite la Soprintendenza competente) è chiamato ad esprimersi in relazione a progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree sottoposte a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali, anche se tali aree rientrino tra le cd. aree idonee di cui al d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199.
L’articolo 22 comma 1 a) del d.lgs. riferito prevede, infatti, in relazione ad impianti a fonti rinnovabili siti in “aree idonee”, che l’autorità competente in materia paesaggistica si esprima con parere obbligatorio non vincolante: decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere non vincolante, l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione è tenuta a provvedere comunque sulla domanda della stessa.
Inoltre, si rappresenta che il parere del MiC, tramite i relativi uffici di Soprintendenza, è centrale anche nell’ambito di procedure autorizzative avviate a seguito di presentazione di dichiarazioni di procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 d.lgs. n. 28/2011 per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili in aree idonee (e non) sottoposte a tutela paesaggistica: in caso di impianti siti in “aree idonee”, il parere in questione è quindi obbligatorio, ma non vincolante.
Il carattere non vincolante del parere del MiC è presente anche nell’ambito di procedimenti volti all’adozione di provvedimenti di Via statale ai sensi dell’articolo 25 d.lgs. n. 152/2006.
A riguardo, si segnala una recente sentenza del T.a.r. Puglia, Bari, 11 dicembre 2023 n. 1429 e, successive ordinanze n. 536/2023 e n. 537/2023, con cui è stato evidenziato il carattere non vincolante del parere del MiC ed ordinato al Mase di rimettere al Consiglio dei ministri la risoluzione di un contrasto insorto tra il parere istruttorio favorevole della “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC” e un parere negativo del MiC in merito ad un progetto agrivoltaico (emesso ai sensi dell’articolo 25, comma 2-bis, del Codice dell’ambiente), per l’adozione di un nuovo provvedimento di Via.
In particolare, il T.a.r. veniva chiamato a decidere su un ricorso promosso da una società per l’annullamento di un giudizio di Via negativo emesso dal Mase a seguito del parere negativo del MiC riferito: ciò in quanto il Mase, anziché negare la compatibilità ambientale del progetto in questione a fronte del parere negativo del MiC, avrebbe dovuto disporre la rimessione del contrasto sopra chiarito al Consiglio dei ministri (ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lett. c-bis), della legge n. 400/1988).
I giudici del T.a.r. Puglia hanno rappresentato in merito, in linea alla previsione di cui all’articolo 25 del Codice dell’ambiente, che il procedimento di Via è un “procedimento pluri-strutturato nell’ambito del quale l’autorità competente è l’attuale Mase che esprime un giudizio di compatibilità ambientale previo concerto del MiC”.
Ne deriva, pertanto, una sostanziale “equi-ordinazione” dei pareri espressi dalla commissione tecnica del Mase e dal MiC. Come evidenziato dai giudici amministrativi, pertanto, “una lettura sistematica della normativa di riferimento porta ad escludere l’attribuzione a una delle due amministrazioni competenti (nel caso di specie il Ministero della cultura) di un potere interdittivo e di veto tale da precludere persino la devoluzione della questione al Consiglio dei ministri”.
Tale sentenza si ritiene rilevante in quanto sottolinea l’assenza di un poter interdittivo e di veto in capo al MiC nell’ambito di procedimenti di Via riguardanti progetti a fonti rinnovabili.
Il parere della Soprintendenza nel procedimento di autorizzazione paesaggistica
In relazione alla natura dei parerei espressi dalle Soprintendenze del MiC nei procedimenti di autorizzazione paesaggistica, si analizza il disposto dell’articolo 146 comma 5 del Codice dei beni culturali secondo cui, la regione (o ente locale competente) si pronuncia sull’istanza di autorizzazione paesaggistica, dopo avere acquisito il parere “vincolante” del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge.
Il comma 8 della richiamata disposizione prevede poi che il soprintendente renda il parere di cui sopra “limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico [..] entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti”.
A riguardo si evidenzia una “dequotazione” del parere in questione che, da vincolante, diviene non vincolante, nel caso in cui la Soprintendenza competente non lo esprima entro il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione degli atti da parte dell’amministrazione procedente.
Tale circostanza legittima, infatti, l’ente locale a provvedere ad ogni modo sull’istanza di autorizzazione paesaggistica, anche in difformità da una eventuale valutazione negativa resa tardivamente (i.e. oltre il quarantacinquesimo giorno) dalla Soprintendenza.
Sul punto, la giurisprudenza è conforme nel sostenere che “il decorso del termine di 45 giorni non preclude alla Soprintendenza di provvedere, non essendovi nell’invocato articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio alcuna espressa comminatoria di decadenza della Soprintendenza dall’esercizio del relativo potere, una volta decorso il termine ivi previsto, sicché l’effetto della trasmissione tardiva del parere della Soprintendenza non è la consumazione del potere, ma la trasformazione del valore del parere da vincolante in non vincolante, con la conseguente possibilità per l’Autorità procedente di poterne prescindere ovvero di conformarsi al suo contenuto, con adeguata motivazione, eventualmente anche in sede di autotutela ex art. 21 nonies della Legge n. 241 del 1990, laddove la stessa abbia già adottato il provvedimento definitivo” (sentenza del T.a.r. Campania, Napoli, 29 gennaio 2024, n. 729).
Merita di essere richiamata anche una sentenza del Consiglio di Stato, 9 marzo 2023, n. 2487 riguardante l’impugnazione di un atto di annullamento in autotutela adottato dall’ente locale competente di un provvedimento di autorizzazione paesaggistica (emanato sulla base di un parere contrario tardivamente adottato dalla Soprintendenza, rispetto all’autorizzazione paesaggistica che era stata nel frattempo concessa).
In proposito si è registrato un primo orientamento giurisprudenziale maggioritario e conservativo che qualificava il parere della Soprintendenza come meramente devolutivo: in caso di pronuncia tardiva, il parere veniva “dequotato” da vincolante (ex articolo 146 comma 5 riferito) a “non vincolante” pur mantenendo la sua efficacia.
Di recente, invece, si è registrato un diverso orientamento (si veda sentenza Consiglio di Stato, 2 ottobre 2023, n. 8610) secondo cui, in caso di mancato riscontro della Soprintendenza nel termine riferito, si ritiene applicabile una fattispecie di “silenzio assenso – orizzontale”, ai sensi dell’articolo 17 – bis legge n. 241/1990 (silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni).
In tale ottica, il parere della Soprintendenza reso oltre il termine di 45 giorni viene considerato da “non vincolante” a inefficace, in conformità alla previsione di cui all’articolo 2, comma 8-bis della l. n. 241/1990.
Conclusioni
Dall’analisi delle modifiche legislative e degli arresti giurisprudenziali, si può constatare come nell’ordinamento si vada ridefinendo il ruolo, inizialmente predominante, svolto dal Ministero della cultura (anche per il tramite delle Soprintendenze competenti).
Tale scelta risponde alla volontà non solo, in generale, di accelerare e snellire le procedure amministrative per facilitare il rilascio delle autorizzazioni per gli impianti a fonte rinnovabili in particolare in aree idonee, ma anche di promuovere, sempre di più, l’utilizzo di tali impianti in linea con le esigenze di tutela dell’ambiente e considerando comunque le necessarie tutele paesaggistiche.
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