La recente Sentenza del Tribunale di Roma (N. 2615/2024, Sez. IV – Lavoro), riguarda un caso di qualificazione giuridica dei rapporti contrattuali vigenti tra un’azienda e vari influencer. Il fulcro della controversia è se tali rapporti possano essere inquadrati – o meno – come contratti di agenzia ai sensi dell’art. 1742 c.c. La decisione offre importanti chiarimenti sulla natura giuridica del “contratto di influencer marketing” e sulla distinzione tra influencer e agenti di commercio.
di Avv. Manuel Costa
Contesto e Svolgimento del Processo
La società ricorrente, una attiva nel settore della vendita online di integratori alimentari, è stata sottoposta a un’ispezione, dalla quale è emerso che i contratti stipulati con gli influencer che lavoravano per conto di essa presentavano similitudini con i contratti di agenzia ex art. 1742 c.c. e, pertanto, dovevano essere soggetti alla corresponsione dei relativi contributi previdenziali.
L’ente ispettivo (Enasarco), dunque, ha contestato alla società l’omesso pagamento dei contributi al Fondo Previdenza e al Fondo Indennità Risoluzione Rapporto, elevando apposito verbale contenente l’applicazione delle relative sanzioni e richiedendo il pagamento dei contestuali contributi previdenziali, per un importo complessivo di Euro 70.264,95.
La società ricorrente ha, tuttavia, contestato quanto emerso durante l’ispezione e, ritenendo che i rapporti in questione non fossero contratti di agenzia, sostenuto che gli importi richiesti non fossero dovuti.
Il caso è stato quindi portato dinanzi al Tribunale di Roma per valutare l’inquadramento legale di tali contratti stipulati con gli “influencer marketers” e le relative implicazioni giuridico-previdenziali.
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Con sentenza discussa all’udienza del 4 marzo 2024, pubblicata in pari data, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso presentato dalla società.
Al suo interno, la società ricorrente aveva sostenuto come gli influencer da essa contrattualizzati non avevano assunto alcun impegno fisso per favorire la conclusione di contratti e come, nei rapporti di sponsorizzazione in questione:
- mancava un contatto diretto con il cliente finale: gli influencer si limitavano a promuovere codici sconto attraverso piattaforme social come Instagram, Facebook e Linkedin; codici che i loro followers avrebbero potuto usare al momento dell’acquisto senza interazioni dirette per incoraggiarli ad acquistare;
- a differenza degli agenti che si impegnano a svolgere costantemente, non su iniziativa propria, l’attività lavorativa in oggetto, i contenuti degli influencer erano pubblicati liberamente e volontariamente, con totale indipendenza e autonomia, senza vincoli di stabilità;
- contrariamente all’articolo 1746 del Codice civile, non c’era alcun obbligo per gli influencer di seguire le istruzioni del presunto preponente;
- il “successo” dei contenuti derivava da caratteristiche personali, intrinseche e autonome rispetto ai requisiti professionali specifici richiesti per gli agenti di commercio;
- non era assegnata un’area geografica specifica, un settore di mercato o una lista di clienti agli influencer per svolgere le relative attività. Queste venivano effettuate attraverso piattaforme digitali con un pubblico di destinatari non definito.
Al contrario, l’Ente ispettivo insisteva circa la parificazione dell’inquadramento giuridico degli influencer a quello degli agenti do commercio, sostenendo i seguenti punti:
- è normale che la promozione delle vendite di un’azienda attiva nel commercio online avvenga tramite l’attività online degli influencer, i quali sono in grado di orientare le decisioni di acquisto dei propri followers. Gli influencer ricevono un compenso variabile in base agli ordini direttamente generati e completati con successo per conto dell’azienda, concedendo sconti ai clienti tramite determinati codici promozionali. Ogni acquisto effettuato con quel determinato codice è considerato come direttamente generato dall’influencer;
- l’indipendenza e l’autonomia sono caratteristiche tipiche del contratto di agenzia, ed il vincolo di stabilità nei rapporti in esame è confermato dalla continuità e regolarità delle transazioni;
- in questo mercato altamente standardizzato, non sono necessarie direttive e istruzioni specifiche. Le condizioni di vendita sono stabilite una volta per tutte nel contratto;
- attraverso tale tipologia di contratto, la società mira a fidelizzare i followers dell’influencer come propri clienti, indipendentemente dal metodo con cui l’influencer li induce all’acquisto;
- l’area designata per la promozione dei prodotti non deve necessariamente essere geografica, ma è determinata dal gruppo di followers che effettuano gli ordini.
Motivi della Decisione
Il Tribunale di Roma, aderendo alle argomentazioni addotte dell’Ente ispettivo (Enasarco), ha principalmente analizzato la distinzione tra le figure di “agente” e “procacciatore d’affari”, così come definiti dalle disposizioni normative e dalla giurisprudenza intervenuta in materia.
Come noto, il contratto di agenzia, è definito all’articolo 1742 del Codice civile come il contratto per il quale “una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”. La Corte di Cassazione ha sottolineato come la stabilità e la continuità del rapporto siano requisiti indispensabili per qualificare un contratto come di agenzia (tra le tante, cfr. Cass. 31/7/2020, n. 16565 conforme a Cass. 4/9/2013, n. 20322). L’assegnazione di una zona specifica non è invece determinante per la natura del contratto (Cass. 17/5/2016, n. 10055 e Cass. 4/9/2013, n. 20322).
Il rapporto di procacciamento d’affari non è invece regolato da norme di legge, ma la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire come si tratti di un rapporto episodico e occasionale che coinvolge la segnalazione di clienti o la raccolta sporadica di ordini (in questo senso, tra le tante, cfr. Cass. 1/2/2016, n. 1856).
Fatta questa premessa in diritto, il Tribunale ha sottolineato come, nel caso di specie, ricorressero gli elementi della stabilità e continuità dell’attività promozionale, elementi evidenziati dalla natura del contratto a tempo indeterminato e dal pagamento regolare delle provvigioni.
Da tali elementi, secondo il Tribunale di Roma, emergeva la stabilità dell’obbligo dell’influencer di attivarsi per orientare le scelte di consumo dei propri followers.
Al proposito, il giudice ha precisato, poi, che “risulta irrilevante che l’influencer non sia destinatario di direttive ed istruzioni, atteso che il mercato in questione, nel mondo web, è altamente standardizzato, l’acquisto si effettua con un “click” e le condizioni di vendita sono fissate una volta per tutte”. Tale attività non poteva, dunque, dirsi lasciata alla libera iniziativa personale dell’influencer e non poteva, pertanto, essere ricondotta alla figura del mero procacciatore d’affari.
Il fatto che i contratti in questione non prevedessero una zona, intesa come area geografica, è stato invece ritenuto irrilevante sulla scorta della giurisprudenza sopra richiamata. In particolare, la promozione digitale all’interno di una specifica community di followers è stata ritenuta quale elemento assimilabile a una zona geografica ben delineata (in quanto costituita/determinata proprio dalla community dei followers).
Nemmeno veniva ritenuta rilevante l’assenza di relazioni dirette tra l’influencer e i propri followers, in considerazione delle caratteristiche del web quale mercato altamente standardizzato.
Il Tribunale ha anche sottolineato come l’introduzione di nuove tecniche di vendita abbia rivoluzionato l’interazione tra cliente e prodotto che, sempre più spesso, avviene in modi non convenzionali.
In questo contesto, si inserisce il c.d. influencer marketing, definito dal Tribunale come “un esperto di settore che, con i propri post, permette di offrire maggiore visibilità a prodotti o servizi da lui promossi, avvalendosi dei canali web che ritiene più opportuni ed adeguati (Instagram, Youtube, Facebook, un blog personale, etc.)”.
Gli influencer rappresentano dunque un nuovo “strumento” per la promozione dei prodotti, assimilabile all’agente di commercio.
D’altra parte, nei contratti di agenzia, l’attività dell’agente consiste in atti di vario contenuto, non definiti, che “non richiedono necessariamente la ricerca del cliente […] purché sussista nesso di causalità tra l’opera promozionale svolta dall’agente nei confronti del cliente e la conclusione dell’affare cui si riferisce la provvigione” (Cass. 2/8/2018, n. 20453).
La decisione del Tribunale
In conclusione, secondo il Tribunale di Roma, l’attività degli influencer deve essere ricondotta a quella dei rapporti di agenzia o di procacciamento d’affari. L’inquadramento giuridico in una delle due categorie dipende, come precisato dalla giurisprudenza, dalla presenza di stabilità nel rapporto.
Se la collaborazione con l’influencer risulta essere stabile e continuativa, come accertato dal Tribunale nel caso di specie, il contratto deve essere ricondotto nell’alveo di quelli di cui agli agenti di commercio ex art. 1.742 c.c. poiché, come nell’influencer marketing, nel contratto di agenzia la prestazione dell’agente consiste in atti di contenuto vario e non predeterminato, che tendono alla promozione della conclusione di contratti in una zona determinata per conto del proponente.
In particolar modo, si tenga a mente che:
- “Gli influencer assumono un obbligo stabile di promuovere la conclusione di contratti, simile a quello degli agenti di commercio“;
- “Il loro compenso, legato a percentuali sulle vendite, configura una provvigione tipica del contratto di agenzia“;
- “L’attività degli influencer, seppur svolta su piattaforme digitali, copre una zona determinata di follower e presenta le caratteristiche di stabilità e non occasionalità richieste per i contratti di agenzia“.
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